martedì 7 gennaio 2014

IL MIO DISCORSO PER L'ULTIMO DELL'ANNO

Roberto Pinetti



Alcuni sono convinti che questo periodo dell'umanità sia particolarmente confuso, dal punto di vista comunicativo, per via delle più recenti tecnologie. Mi riferisco all'uso dei vari "dispositivi mobili".
 È vero, basta poco per notare quante persone privilegino sempre più smacchinare sul proprio smartphone anche in presenza di propri simili in carne ed ossa.Qualche intellettuale ha scritto parole dense di rammarico per questa deriva della comunicazione interpersonale. Non mi soffermerò sulla triste condizione di chi si consideri un "intellettuale" senza avere colto il senso di questa parola.
 Mi vorrei occupare, invece, della verità essenziale che troppo spesso viene elusa quando ci si lamenta della perdita del contatto umano più "autentico". Noi umani ci comportiamo così da moltissimi secoli. Mi riferisco alla cultura dominante su questo pianeta. Noi ripetiamo pensieri già fatti, il più delle volte banali e insignificanti ma molto spesso sopravvalutati. I pensieri sono solo parole che, introdotte nel nostro cervello, continuano a ripetersi senza produrre alcun suono. E noi tutti viviamo sotto l'incantesimo maligno che ci vede convinti di essere "liberi" perché pensanti. Eppure sono pochi gli esseri umani capaci di usare il pensiero in modo autentico e creativo. Sono i grandi filosofi, poeti, artisti, scienziati, inventori.. E anche loro, con ogni probabilità, lo hanno fatto solo in particolari, speciali, momenti. E certo, molti fra loro hanno pagato prezzi altissimi per donare al mondo il frutto del proprio talento. Ma cosa rende diverso questo periodo da quello in cui erano principalmente i notiziari alla tv a renderci partecipi e omologhi. E cosa rende meno stereotipato e inutile il pensiero letto sui fogli dei quotidiani. Viviamo nell'illusione della "informazione". Cerchiamo disperatamente che qualcuno, sempre "qualcun altro", ci dica come vanno le cose. Perché abbiamo paura della verità. La realtà che crediamo di conoscere non è la Verità. È soltanto una convenzione nella quale tentiamo di placare le nostre ansie. Ma solo apparentemente, in quanto, lo sappiamo bene, l'ansia è forse la nostra più assidua compagna in questo frammento di eternità.
Il pensiero è un'invenzione umana proprio come la stampa o gli smartphone. E proprio come ogni invenzione umana deriva dal genio di qualche individuo specifico e, poi, si irradia nel mondo, ad uso di un gran numero di persone le quali, ben lontane dall'avere una minima idea di come "funzioni", la usano, spesso in modo banale quando non distruttivo. Allora c'è solo un modo per non rimanere imprigionati nella banalità dell'informazione che ci circonda e ci "forma" (in-formare). La soluzione è "essere". Prendersi la responsabilità quotidiana di ciò che facciamo e non facciamo. Ci può sembrare bello e utile provare emozioni, dolore, pietà, indignazione, per cose che accadono anche molto lontano da noi. Possiamo credere sia utile sapere di "chi ha fatto cosa" nella nostra città o cosa (qualcuno racconta che) non va nella gestione comunale. Ma la soluzione sta nel guardare senza aver paura di vedere. Se inizio a "vedere" tutto cambia perché non posso più mentire a me stesso. Non posso più dire: «ci penserà qualcun altro» o «ci deve essere qualcuno preposto a questo incarico». 
Se "vedo", quel qualcuno sono io. Non dovrò più lamentarmi. Perché si lamenta chi aspetta da altri le soluzioni. Si lamenta chi demanda e non si assume la propria responsabilità. Se, per un istante, ci accorgiamo di essere sotto l'egida di un incantesimo che ci impedisce di riconoscere come omologata e inutile gran parte dei nostri pensieri, allora possiamo liberarci. Possiamo assaporare il gusto della responsabilità, che è la nostra fonte primaria di libertà. 
Possiamo uscire dalle trappole dei luoghi comuni, delle parole dette per dire, dei suoni inutili che rimbombano nella nostra testa come se avessero un vita propria e.. cominciare a Vivere.







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