La forza travolgente dell’esperienza.
Il mondo
ha in sé voci che, se ascoltate, possono indicarci il senso della
nostra vita.
Quando,
anche per un istante, riusciamo a liberarci dal rumore dei perché,
otteniamo lo spazio in cui collocare la nostra comprensione.
Anni fa
trasmettevano una serie di film per la tv che descriveva il non
facile insediamento di una colonia umana su un nuovo pianeta. Quel
mondo era già abitato da esseri con caratteristiche molto
particolari i quali vivevano nel sottosuolo, "il popolo delle
ombre". A me parve subito che quegli abitatori sotterranei si
richiamassero, per molti aspetti, agli aborigeni, e che l'intera
vicenda potesse evocare l'insediamento dei britannici nel territorio
australiano. In ogni caso, indipendentemente dalle intenzioni
consapevoli degli sceneggiatori, questa era stata la sensazione che
ne avevo ricevuto.
In un
episodio della serie, un umano incontrava una donna anch'essa di
origine terrestre che, però, era stata adottata fin da piccola dal
popolo sotterraneo e ne aveva assimilato usi, costumi e capacità. Il
dialogo si svolgeva, all'incirca, come segue.
Donna
del Popolo delle Ombre: - rivolgendosi all'uomo - «Ma perché
continui a parlare tanto!?»
Uomo
della Terra: «Ti sto solo facendo delle domande. È il modo col
quale noi terrestri cerchiamo di capire le cose che ancora non
comprendiamo!»
Donna:
«Siete strani voi terrestri! Noi per ottenere la stessa cosa ce ne
stiamo in silenzio, ad ascoltare.»
Questa
risposta mi ha sempre intrigato e divertito. Parla della facoltà di
ascoltare, della qualità dell'essere recettivi. Sono sempre più
convinto di quanto sia necessario far posto dentro di noi, per
consentirci nuove acquisizioni. Fare spazio, insomma, affinché le
cose abbiano modo di raggiungerci.
La
ricettività, in fondo, ha un preciso rapporto con la capacità,
parola, quest’ultima, che ci rimanda alla possibilità di fare, ma
anche all’attitudine a contenere. In altre parole, un vaso già
colmo non serve a nulla.
Questo
lavoro parte dal presupposto che esistano modi di conoscere più ampi
rispetto ai processi mentali di tipo lineare, guidati unicamente
dalla logica causale.
L'intento
è di allargare lo sguardo lì dove di solito siamo abituati a
restringerlo e limitarlo.
Il metodo
è quello che si serve del pensiero analogico il quale, come vedremo,
ci permette di risalire dal particolare alla totalità e di
attribuire connessioni significative fra cose od eventi che,
diversamente, rimarrebbero oscuri per continuare ad apparirci
insignificanti.
La
forza travolgente dell'esperienza
Forse non
è un caso che le prime righe di questo scritto risalgano al periodo
in cui stavo predisponendo il mio primo studio di psicoterapia. Di lì
a poco dovetti affrontare la perdita di mio padre ed io ricevetti in
eredità l’appartamento nel quale andai ad abitare.
Per me
quel luogo divenne, come ogni autentica eredità, impasto d’amore e
dolore.
Entrare,
prendere possesso, vivere in quella casa, furono azioni ben diverse
da ciò che in passato avevo già sperimentato.
Mi
trovavo improvvisamente a contatto con tutti quei mobili ed oggetti,
che rimandavano al ramo paterno delle mie origini. Tutta la memoria
della famiglia di mio padre, delle origini di mio padre e delle mie
stesse era racchiusa fra quelle mura. La storia della mia famiglia
era nelle mie mani. Ma, contemporaneamente, dovevo ricavare in quel
luogo i miei spazi, fare della casa delle mie origini la "mia"
casa. Dovevo decidere cosa tenere e cosa scartare e, come una
chiocciola, da dentro, costruirmi la mia conchiglia, il mio guscio.
Questa,
in breve, è la storia della prima fase, quando, come dicevo,
tracciai solo le basi di questo lavoro. Sono poi trascorsi anni in
cui ho continuato a svolgere sia l’attività di psicologo e
psicoterapeuta sia quella di artista o, come preferivo definirla un
tempo (così come mi era stato trasmesso da un professore all'epoca
degli studi d'arte), di ricercatore visivo. Ma proprio quando i
quadri parevano sul punto di liberarsi del carico nero dei miei lutti
e le mie installazioni*(1), sempre più esplicitamente, descrivevano
un anelito alla spiritualità, mi trovai a precipitare in un baratro
così scuro che non me ne avvidi se non dopo molto tempo e così
profondo da farmi scambiare per volo ciò che risultò essere,
invece, caduta.
Quando
scegliamo di rapportarci all'interiorità e alla profondità dobbiamo
fare attenzione che essa non si confonda con la solitudine
annichilente dell'isolamento, così come affacciandoci sull'orlo
dell'abisso è necessario rimanere saldi e non farci trascinare dalla
vertigine. Spesso però, fortunatamente, la vita ci porta con le
malattie anche le cure, ovvero, coi problemi anche le soluzioni.
In quel
difficile periodo la mia abitazione mi appariva sempre meno curata.
Senza rendermene pienamente conto avevo omesso, giorno per giorno, di
dedicarle quelle attenzioni che sono invece dovute al luogo in cui
viviamo. In una stanza erano accumulati tutti i miei quadri e,
lentamente, la polvere iniziava a ricoprirli. Tolte le tende dalla
finestra, infine, le persiane erano rimaste permanentemente chiuse,
ponendo definitivamente quel luogo nell'oscurità e nell'abbandono.
Ma
proprio in coincidenza con una delle estati più torride che a
memoria d'uomo si fosse registrata in Italia, si verificò un
cambiamento, improvviso e inatteso.In quel momento presi finalmente
atto di dover fare qualcosa per la mia casa. Fui altrettanto certo,
da subito, che quel "qualcosa" era essenziale alla mia
persona e per la mia vita.
Procuratomi
il materiale occorrente, mi misi a scrostare le pareti della cucina.
Ripresi, così, il duro lavoro cominciato col mio insediamento in
quell'appartamento. Allora non avevo ritenuto necessario imbiancare
la cucina. Ora non solo intendevo dipingerla ma iniziavo addirittura
con lo scrostarne i muri.
Il caldo
opprimente e il lavoro, già di per sé piuttosto faticoso, presto mi
portarono in una direzione fino ad allora quasi ignota, in cui il
presente era l'unico tempo esistente e mi apriva a dimensioni
immaginative straordinarie, come fossi precipitato in un diverso
stato di coscienza. Tra il caldo terribile, il sudore e la fatica, il
dolore della mia anima continuava a persistere ma assumendo via via
un senso diverso, quasi si fosse trattato di un percorso iniziatico.
Mi
scoprii, così, a tessere analogie con l'idea che mi ero fatto,
allora senza alcuna conoscenza diretta, della capanna sudatoria *(2)
in uso presso la tradizione dei nativi americani e di simili
esperienze d'altri popoli lontani.
Il dolore
dell'anima non cessava ma, con il caldo terribile, la fatica e il
sudore, pareva potermi parlare, dirmi cose che, forse, non avevo mai
avuto il coraggio di ascoltare. Il raschiare della spatola contro il
muro emetteva un suono stridulo, e presto mi parve trasformarsi come
in una nenia od un'antica canzone. Rasch, rasch, rasch, un preghiera
senza tempo si diceva da sé e più o meno faceva così:
Raschiando
le pareti della mia cucina, raschiando strati di pittura e intonaco,
raschiando strati di storia e memorie nascoste, raschiando ciò che
va tolto per scoprire cosa rimane, raschiando senza nulla cercare,
raschiando sino ad arrivare al cuore, fino al di là del cuore, fino
alle radici più profonde, nel luogo dove si prepara il cibo, nel
luogo in cui si consuma il cibo, nel luogo ove si trasforma ciò che
sarà trasformato, raschiando via le idee ed i pensieri inutili,
raschiando via le recriminazioni, raschiando via le paure e gli
impedimenti, raschiando tutto ciò che non serve, per lasciare solo
il necessario, raschiando con forza e fatica, grondando sudore,
raschiando fino ai mattoni, fino al centro della terra, sino a vedere
le stelle, fino al mattino di un nuovo giorno, raschiando per poi
ricostruire, vivere e continuare, tutto questo avviene ed è già,
raschiando, raschiando i muri della mia cucina.
Furono
mesi di grande fatica. Alcuni giorni maledicevo il momento in cui
avevo iniziato quel lavoro e, in particolare, di non aver chiesto
aiuto ad alcuno. Ma in fondo al mio cuore sapevo di essere nel mezzo
di un percorso che a nessuno avrei potuto demandare. Un percorso che
in quel momento connetteva in un'unica, inscindibile totalità, il
mio corpo, la mia casa, la mia anima.
Col
finire dell'estate il lavoro non risultava ancora del tutto compiuto.
Dovetti liberarmi dei progetti inattuabili e orientarmi su ciò che
era realizzabile con le mie forze e i mezzi che avevo a disposizione
in quel tempo. Ma questa non poteva essere un'operazione di mera
rinuncia. Era necessario che le soluzioni adottate nel risistemare la
cucina fossero ben altro che un semplice ripiego: dovevano generare
piacere e soddisfazione. Dovevano nascere da un processo creativo
spontaneo, l'unico in grado di produrre un esito autentico. (...)
continua
Fonte:
https://www.facebook.com/notes/roberto-pinetti-psicologo-psicoterapeuta/la-forza-travolgente-dellesperienza-da-casa-corpo-anima/1029923020433733
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