martedì 30 luglio 2013

venerdì 26 luglio 2013

Sensi

Osservare è caratteristica connaturata in me.
Persone che mi son care la definiscono una “dote”, io no, per me è una maledizione.
A causa di un avvenimento luttuoso della mia esistenza ho cominciato ad “allenare” i cinque sensi.
Semplicissimi esercizi che miravano a suggellare immagini, voci, profumi e la vitalità di una pelle che mai più avrei potuto carezzare.
Volevo rendere immortale, dentro di me, quella vita che più non era.
Questo strano allenamento è divenuto negli anni quasi un automatismo, oggi è parte di me in ogni istante della mia giornata.
L’aver acuito i miei sensi se da un lato è una sorta di cassa di risonanza per tutto ciò che è bello, dall'altra
lo è parimenti per tutto ciò che di “brutto” la vita ci offre.
Tutto dentro di me è amplificato, le percezioni urlano forte tanto da far passare in secondo piano le parole.
Parole… chi mi ha convinto ad aprire questo spazietto le usa molto bene per mestiere, si costruisce il pane con le consonanti, io lo chiamo affettuosamente: “Panettiere delle vocali”.
La persona in questione, il cui nome mai da me sarà svelato, mi ha convinto a spiegare in che cosa consista l’allenamento dei cinque sensi.
Tutto molto semplice: parto da un mio convincimento antico, ossia che tutto ciò di greve, complicato la modernità ha semplificato, alleviato, ci ha anche resi meno ricettivi, percettivi; basti pensare ai mezzi di comunicazione verbale o scritta fra le persone.

I cinque sensi:
Tatto
Vista
Udito
Olfatto
Gusto.

Tatto, iniziai da lui.
Il senso che forse più mi piace.
Cominciai con metodo un lunedì.
 Appena sveglia la mia analisi si concentrò quasi esclusivamente sulle sensazioni che via, via provavo toccando tutto ciò che il mio quotidiano mi offriva.
Poggiai i piedi sul pavimento, tutto mi apparve come nuovo, diverso… stavo osservando le mie percezioni.
Avvertivo i pori della mia pelle come fossero microscopiche ventose; avvertivo l’esistenza dei pori della mia pelle.
Mi stupivano le molteplici sensazioni che la sola superficie del vetro della mia finestra offriva alle mie mani.
Liscio, fresco, un po’ umido al passaggio dei miei polpastrelli.
Alcune imperfezioni erano leggermente sferiche, mentre altre le avvertivo più di forma conica.
Picchiettavo piano con i polpastrelli ed esso fletteva leggermente.
In seguito poggiai la guancia, poi le labbra, la fronte e ogni volta nuove sensazioni si palesavano.
Durò una settimana l’analisi del tatto, mi resi conto che avevo immagazzinato una miriade di sensazioni alle quali non avevo mai dato peso.
Il lunedì successivo iniziai la mia giornata “vedendo” e smisi da allora di “guardare”.
A rotazione approfondii tutti i sensi.
Terminai con il gusto per poi ricominciare tutto daccapo.
Per molti mesi separai in settimane l’osservazione di ognuno dei sensi, sinché l’analisi e l’esplorazione degli stessi non divenne naturalmente omogenea coinvolgendoli tutti insieme.
Oggi, quando la mia parte pragmatica mi suggerisce di considerare razionalmente una sensazione o, come spesso accade, m’indica di non seguirla, la stessa diviene insistente e assordante.
Bello? Anche, ma in minima parte.
Talvolta mi rendo conto di vivere fuori dal tempo, bombardata da una miriade di percezioni non volute.
Lentamente sono cambiate le mie notti, i miei sogni, ho imparato “l’attesa”, sono diventata una maestra in fughe, in immobilismo.
Sogni che spesso non sono altro che una somma di tutto ciò che durante il giorno ho provato, di tutto quello che le sensazioni mi hanno mostrato, molti sono incubi.
Quando guardo un colore, e una giornata è stracolma di tinte, io non vedo un solo tono, ma anche tutti i colori che lo compongono.
Ascolto musica e di un brano musicale, oltre al suo insieme, separo ogni singolo strumento che lo compone sino a percepirne chiaramente ogni minuscola variazione, il fiato del sassofonista, così come lo strofinamento di una corda del contrabbasso.
Quando cammino in un corso, una via movimentate da molto traffico sento, e questo è un gran bene, il cinguettio dei numerosi piccoli pennuti, il loro canto, i loro alterchi.
Dei passanti percepisco chiaramente il suono dei loro passi, le molteplici differenze dovute ai tipi di calzature o dalla stazza di chi le indossa.
Se mi è presentato qualcuno e lo stesso/a mi porge la mano, non mi limito a valutarne la stretta o il “mollume”, no, avverto l’epidermide, il suo calore più o meno accentuato, la sua consistenza, le sue tensioni e molto altro.
Il cibo che porto alla bocca viene come istantaneamente analizzato, ogni singolo ingrediente è da me avvertito, separato e riunito.
Anche i baci hanno gusto e quel gusto dice tanto della persona, a volte troppo.
Posso sentire chiaramente le voci delle persone a me care e se chiudo le mie dita sul palmo della mano ritrovo la loro pelle, avverto chiaramente il profumo, la fragranza della loro epidermide.

Per questo, forse, ne è valsa la pena.

martedì 23 luglio 2013

Sensualità


Sensualita

Vocabolario on line
sensualità s. f. [dal lat. tardo sensualĭtas -atis, der. di sensualis «sensuale»]. – 1. ant. Facoltà, capacità sensoriale; sensibilità. 2. Il sentire fortemente, e spesso in modo predominante, gli impulsi e i desiderî sessuali; più genericam. compiacimento nei piaceri sensibili, sia in quelli della sfera erotica sia in tutti gli altri offerti dalla sensibilità, dalla più semplice alla più raffinata (anche di carattere estetico): uomo, donna di grande, di irresistibile sensualità. Per estens., qualità, condizione di tutto ciò che esprime tale atteggiamento psichico o ne è ispirato: la s
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