giovedì 26 dicembre 2013

Ciao mondo, fottiti

Una cosa che mi piace del Natale c’è, ed è che alla mezzanotte del 25 è finito, morto, sepolto e con lui tutti i lustrini e le sue incommensurabili falsità.
   “ Ciao Mondo, fottiti”




giovedì 19 dicembre 2013

Jim Hall, Concierto de Aranjuez - Jim Hall e Bill Evans, Intermodulation - Jim Hall, Jazz in Marciac 2000



Jim Hall
 Buffalo, 4 dicembre 1930 – Buffalo, 10 dicembre 2013

Ciao Jim.
Ci sono dei nomi senza i quali il termine Jazz non avrebbe lo stesso sapore. Se è vero che l'arte è immortale è facile, per me, immaginare che le sue collaborazioni rimarranno tracce indelebili per chi ama o amerà il Jazz. Grandiose le sue collaborazioni con Chet Baker, Ella Fitzgerald, Sonny Rollins, Paul Desmond, Zoot Sims, Michel Petrucciani, Wayne Shorter. Nei miei cento dischi preferiti sicuramente il suo nome compare decine di volte. Ed è proprio Concierto, un omaggio al Concierto de Aranjuez di Joaquin Rodrigo, opera che ha il primo posto assoluto della mia "classifica" dei dischi ideali. Insieme a lui nell’esecuzione Sir Roland Hanna (piano), Ron Carter (basso), Steve Gadd (batteria), Chet Backer (tromba), Paul Desmond (sax alto). La sua realizzazione fu eseguita sotto l'orecchio attento e unico di Rudy Van Gelder. 
Buon ascolto




mercoledì 18 dicembre 2013

Nascosto nella sua memoria

emmegrafia




"Per me la fotografia è registrazione, testimonianza, ma anche specchio e finestra in cui interno ed esterno si fondono in un unico in continuo mutamento. E' opinione comune che la macchina fotografica non possa registrare ciò che non è visibile all'occhio, eppure un fotografo che la sappia usare bene può rappresentare cosa è nascosto nella sua memoria"



Eikoh Hosoe (細江 英公 Hosoe Eikō, 18 Marzo 1933 - Yonezawa-Yamagata, Giappone) è famoso soprattutto per i suoi ritratti dello scrittore Yukio Mishima


lunedì 16 dicembre 2013

Brutta gente gli infingardi

È strano come un termine, un aggettivo torni alla mente e ricorra ripetutamente dopo tanto tempo.
Un aggettivo poco usato, vocabolo che ha più di un significato: infingardo.
Aggettivo che mi ricorda “nonna” Luigina; una bellissima signora anziana che da molto non c’è più.
Narrava, Luigina, della fame alla fine della seconda guerra mondiale, delle azioni cruente nella Torino di quegli anni e di come poteva costare la vita confessare l’ideale comunista, sì, lei parlava di comunismo senza, tuttavia, cibarsi di bambini per azzittire i morsi della fame.
Un racconto particolare, però, mi torna alla mente più di altri.
Teatro dell’accaduto: il marciapiede che costeggia via Nizza a lato dell’ex fabbrica del Lingotto, oggi Lingotto Fiere.
Lei, la sua piccola bimba per mano, tanti cadaveri allineati sul marciapiede.
La figlia di nonna Luigina si accorse che un morto stringeva in una mano un tozzo di pane, la piccina forse pensò che a lui non sarebbe più servito o magari fu solo lo spirito di sopravvivenza che la spinse a cercar di staccare quelle dita, ormai irrigidite, dal tozzo di pane.
Luigina raccontava l’accaduto sempre con gli occhi un po’ velati, lei non piangeva, la sua smisurata dignità, probabilmente, glielo impediva, ma la tenerezza che emanava era palpabile.
In  seguito a questo particolare racconto spuntava sempre l’aggettivo in questione: infingardo.
Sì, terminava quella macabra narrazione aggiungendo che molto spesso vi erano vicini di casa, conoscenti i quali, usando la visita di cortesia come pretesto, s’insinuavano falsamente con l’unico lo scopo di carpire notizie che avrebbero “rivenduto” ai fascisti.
Qualche giorno fa cercavamo, io e alcuni miei cari amici, un aggettivo adeguato che descrivesse una peculiarità caratteriale, una caratteristica propria di taluni individui ed ecco rispolverato infingardo.
Infingardo, infingarda, infingardi; aggettivo obsoleto, mi sono resa conto che di desueto, però, c’è solo la parola.



Fonte immagine:
http://www.skyscrapercity.com/showthread.php?t=364547&page=18



martedì 10 dicembre 2013

La mia pancia con le orecchie



Possedeva orecchie invisibili la mia pancia; così immaginavo il mio ventre da bimba.
Non riuscivo a descrivere con le parole ciò che nei musei vedevo, ma avevo la netta sensazione che ascoltassi con la pancia la descrizione che i miei occhi mi fornivano.
Ancora oggi la mia pancia possiede orecchie e col passare degli anni son spuntati anche gli occhi.
Diviene cieca e sorda quando mi trovo al cospetto di una tela intonsa e l’accarezzo, allora la pancia torna a essere pancia.
Immagino che lo faccia per dare a se stessa la possibilità di arrotolarsi, contorcersi e  tremare.
Capita così anche carezzando il foglio del gigantesco blocco schizzi, sebbene lo stesso sia  formato da modesti fogli di carta spolvero.
Lì c’è tutta la penuria di poesia del globo, tutte le mie tensioni, l’assenza di speranza e il sapore della nebbia in gola… lì è il vuoto.
La mia carezza è una richiesta di permesso a violare, la visione mentale attende assai; silente e in ordinata coda con altre immagini, spesso non è così per il gesto che ha tempi molto diversi per unirsi a lei; è lui che vìola.
Quando le parole scritte prendono il posto del disegno, quando sono le sensazioni quelle che uso come bozzetti; ecco, allora in quei casi le orecchie e gli occhi della mia pancia hanno la capacità di unire gesto e mente.
Gli organi invisibili del mio ventre, spesso, vedono e sentono prima e meglio di quanto fanno i miei occhi e orecchie reali che hanno il grande limite di ascoltare troppo ciò che la ragione, con le sue regole dettate dalle nozioni incamerate, suggerisce loro.

venerdì 6 dicembre 2013

Gary Burton e Chick Corea live



Gary Burton e Chick Corea
 Quando due colossi iniziano a dialogare è facile che i superlativi si sprechino. Questo momento ne rappresenta degnamente l'esempio classico.
Un concerto fuori dal tempo che regala grandi emozioni anche a distanza di anni. 






Fonte immagine:

martedì 3 dicembre 2013

Cafè Lehmitz

emmegrafia




"I frequentatori del Cafè Lehmitz avevano quella presenza e quella sincerità che a me mancava. Potevi esser disperato oppure tenero, sedere da solo o in compagnia. C'era tanto calore umano e tolleranza in quell'ambiente così dimesso".


Con queste parole, Anders Petersen (3 Maggio 1944 Solna, Svezia), descrive il suo lavoro fotografico più famoso che ritrae, in un periodo di tre anni dal 1967 al '70, i frequentatori dell'omonimo bar di Amburgo.









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