sabato 17 giugno 2017

Opportunismo e carità

In realtà, caro culo di fogli, il principio è che basterebbe chiedere.
Si possono comprendere le posizioni di quasi tutti.
Mi è capitato di elargire un po' di denaro; a chi non capita? .
Mi sono, dapprima, sentita un po' usata, infastidita da quella sordida forma di opportunismo. Il mio sentire è svanito lasciando il posto al, molto meno nobile, sentimento di pena. Ho considerato il significato di “obolo”, ho cercato sul vocabolario la sua precisa accezione No, non è  il termine esatto, non è quello adeguato. Poi, non paga, ho cercato i suoi sinonimi. No, nessun sinonimo rendeva giustizia, anzi, confermava l'imprecisione. La stanchezza e quell'odioso senso di pena ancoravano nel mio profondo la fissazione. Così ho ripreso in considerazione "elemosina" che in un primo momento avevo scartato perché m'era parso un po' gravoso. Elemosina. 
"Le parole hanno un peso", mi dico e ancora discetto sulla portata e sulla personale responsabilità. Disquisisco a lungo sulla portanza dei vocaboli usati male, stropicciati a dovere e su come, espulsi dalla mia bocca o dalla mia penna, gli stessi lascino la loro bava a rammentarmi l'assoluta responsabilità.  Decido, allora, di ben controllare.
Treccani, ai sinonimi di elemosina, scrive: beneficenza, carità, elargizione, aiuto, soccorso. Scrive anche offerta che si fa in chiesa o agli ordini mendicanti e poi colletta, questua.
Be'… elemosina è proprio il termine perfetto!
Penso che l'entità, la cifra in denaro sia assai relativa. Si possono elargire elemosine di pochi centesimi, di qualche euro, di dieci, di venti euro e anche di più. Si può fare la carità in tanti modi. Si può dare elemosina per mille e più cause. Si elargiscono denari per tacitare
sensi di colpa, per ringraziare silenziosamente la miglior sorte capitataci, per continuare a non vedere e a non ascoltare, per suggellare con quell'azione la nostra (solo illusoria) superiorità sociale.
Insomma, dietro a un gesto così apparentemente altruista si possono nascondere biechi sentimenti.
Alla fine, dopo aver espulso il sentirmi usata, son riuscita a tacitare anche quel senso di pena che tanto stretto sentivo.
Sarebbe bastato usare le parole, sarebbe bastato formulare una semplice richiesta o, ancor più semplicemente, attendere che fossi io a offrire. Atto che avrei compiuto sicuramente.
Invece no.

Ho dato, quindi, un'elemosina che ha azzittito in un colpo solo il disagio, la pena e mi ha tolto anche l'incombenza di un saluto.






Paul Gauguin, autoritratto 1888






Fabrizio De André, Giugno '73

             


Tua madre ce l'ha molto con me perché sono sposato e in più canto però canto bene e non so se tua madre sia altrettanto capace a vergognarsi di me.

La gazza che ti ho regalato è morta, tua sorella ne ha pianto, quel giorno non avevano fiori, peccato, quel giorno vendevano gazze parlanti.

E speravo che avrebbe insegnato a tua madre a dirmi "Ciao come stai ", insomma non proprio a cantare per quello ci sono già io come sai.
I miei amici sono tutti educati con te però vestono in modo un po' strano mi consigli di mandarli da un sarto e mi chiedi:
"Sono loro stasera i migliori che abbiamo ".

E adesso ridi e ti versi un cucchiaio di mimosa nell'imbuto di un polsino slacciato.
I miei amici ti hanno dato la mano, li accompagno, il loro viaggio porta un po' più lontano.

E tu aspetta un amore più fidato il tuo accendino sai io l'ho già regalato e lo stesso quei due peli d'elefante mi fermavano il sangue li ho dati a un passante.

Poi il resto viene sempre da sé, i tuoi "aiuto" saranno ancora salvati.
Io mi dico è stato meglio lasciarci che... non esserci mai incontrati.

sabato 10 giugno 2017

Musei e Musei...


Mi piace stare con me. Mi piace concedermi, quando possibile, piccole vacanze in solitudine.
Alcune volte questo mio fare è accolto dalle persone che mi sono care, con una forzata tolleranza e non con la comprensione piena che mi aspetterei.
La solitudine che mi spaventa è quella “accompagnata”, è l'isolamento nel caos.
La vacanza, per molti, è strettamente legata all'allontanamento dalla città in cui si vive, non per me.
Una passeggiata senza meta con il maso all'insù o all'ingiù è una pausa piacevole come lo è la visita a una mostra o a un museo; una sospensione.
Uno dei luoghi che prediligo è il museo. Musei, nella mia vita ne ho visitati “alcuni”. Rarissimi i casi in cui non mi siano piaciuti. Torino offre, a cominciare dal celeberrimo Egizio, una ampia e ricca scelta. Il turista, il vacanziero, il villeggiante che arriva o passa per Augusta Taurinorum ha di che soddisfare le proprie voglie in merito ai suddetti luoghi.
Giovedì scorso anziché pranzare ho deciso di trascorrere il paio d'ore che avevo a disposizione per visitare due musei torinesi.
Uno mi era stato caldamente consigliato da un caro amico; il Museo della Frutta di Francesco Garnier Valletti situato nella zona di San Salvario in via via P. Giuria, 15.
Sempre allo stesso indirizzo e al medesimo piano, dal 2009, vi è ospitato anche il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso, che ho potuto visitare dopo essermi ripromessa svariate volte di farlo.
Mostro all'entrata la mia tessera Musei e subito vengo accolta da personale eccellente, preparato e cortese.
Mi rendo conto immediatamente di trovarmi in un luogo fuori dal comune e fuori dal tempo liquido che, mio malgrado, son costretta a “vivere”.
Marco Ezechiele Lombroso detto Cesare si laurea in medicina nel 1858 a Pavia con un elaborato sul cretinismo in Lombardia. Istitutore dell’antropologia criminale che nasce a seguito di un'autopsia sul corpo del brigante calabrese Giuseppe Villella nel 1870.
Il museo dedicato a lui ospita, oltre una ricca raccolta di teschi umani, moltissimi manufatti di carta, legno e stoffa. Disegni anatomici, fotografie, corpi di reato. Elaborati artigianali e
artistici provenienti da manicomi e carceri, materiale della seconda metà dell'Ottocento e prima parte del Novecento.
Be', quello che mi ha rapita è proprio l'alto livello artistico dei reperti. Son rimasta di stucco., mi trovavo all'interno del più bel museo da me finora visitato.
Ancora in tempo per un secondo assaggio e con gli occhi pieni di meraviglia varco la soglia dell'attiguo Museo della Frutta.
Come inebetita mi trovo al centro di questa sala colma di riproduzioni perfette di ogni tipo di mele, pere, uva; insomma ho voglia di urlare : “ Sig. Valletti voi siete un meraviglioso folle!”.
Queste opere d'arte nate dalle mani di questo splendido modellatore di Giaveno, un ceroplasta abilissimo.
Quei frutti paiono veri, vivi.
Sono lì, immobili. Lì, in bella mostra.
Una voce piacevole e familiare giunge dal fondo della sala, da un piccolo e discreto schermo arriva la suono vocale e il portamento di Vittorio Gasman.
Bella sorpresa, bello vederlo qui, qui esattamente dove sono io.
Quella voce così importante, quel suo Italiano… nessuno meglio di lui. Anche in questo, non così banale, dettaglio hanno avuto un gran gusto.
Quei calchi dei frutti sono costruiti con superba maestria dall'artista Garnier Valletti.
Curiosa come una bertuccia scopro, leggo che gli stessi sono composti da una mescola di pece greca, dammar (resina) e biacca.
Insomma, i due musei mi hanno arricchita, sono stati corroboranti.
Tornerò presto, dedicherò loro tutto il tempo possibile.
Tornerò con il mio blocco schizzi, lì un pittore dovrebbe quasi viverci.
Ho passato un paio d'ore in ottima compagnia e non mi son sentita sola ma in solitudine.



http://museolombroso.unito.it/index.php/it/

http://www.museodellafrutta.it/navigazione/informazioni.htm

Immagini dal Web

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