lunedì 1 dicembre 2014

Caro cumulo di fogli solcati da una HB...


Com'è difficile immaginare d’esser qualcun altro, mio caro cumulo di fogli.
Ho parcheggiato, in malo modo, l’auto davanti alla stazione del Lingotto.
Attendevo l’arrivo di una persona e la presa di possesso, sebbene relativamente momentanea, di un pezzetto di posteggio delle auto gialle, non mi permetteva di allontanarmi dalla mia vettura.
Pioveva a dirotto, decido, quindi, di seguitare nella lettura del mio libro.
Ero in procinto di ri-visualizzare i personaggi del racconto in questione e di udire nuovamente le loro voci, quando un movimento, a lato del mio occhio sinistro, catturava la mia attenzione.
Le gocce di pioggia, dapprima tondeggianti, assumevano, successivamente e a causa del loro scivolare giù per il vetro, forme amorfe un po’ allungate, deformando in parte la figura che si muoveva come un’ombra sul marciapiede attiguo.
Marciapiede dove sono situati i cassonetti della raccolta differenziata.
Ecco; lui appariva e scompariva lì.
Sì, mio caro cumulo di fogli, sembrava una timida ombra con ombrello.
Poteva essere mio figlio?
È stata la prima domanda che mi sono posta; sì, la risposta.
Più che decorosamente acconciato, con i jeans inzuppati d’acqua sino alle ginocchia, raccoglieva pezzetti di carta da terra e li deponeva nel cassonetto preposto alla sua raccolta.
Dapprima m’è parso un gesto normale, giusto, ma se così fosse stato la mia attenzione non sarebbe stata rapita, quindi c’era altro.
Infatti, dietro a quel gesto, c’era molto di più; c’era il vuoto.
Il ragazzo Ombra gestiva una sorta d’inventario del piccolo rifiuto di strada.
Lui cercava di pareggiare il quantitativo del “lascito pedonale” che vi era all'interno dei vari cassonetti, oltre e dopo aver colto tutto il raccoglibile da terra.
In seguito appallottolava carta, fradicia d’acqua, e la disponeva in fila sul tratto di strada adibita al passaggio dei mezzi pubblici, formando così una specie di esercito di palle di carta molle.
Esercito di soldatini immobili ai quali lui non impartiva alcun ordine.
Egli li osservava in silenzio e dopo pochi minuti disfaceva la sua trincea, quindi ricominciava, meticolosamente e a partire dalla raccolta del più piccolo rifiuto, tutto il giro tutto daccapo.

Il lavorio del ragazzo Ombra, mio caro cumulo di fogli, mi ha fatto tanto pensare.
Ho cercato di essere lui, ho provato a visitare il suo “vuoto”.
Mi sono infiltrata quanto più ho potuto.
I gesti compiuti con quella mano, mentre l’altra reggeva l’ombrello, erano ritmati, precisi, come fosse un compito che era sua abitudine eseguire.
L’ho immaginato come una sorta di bibliotecario del rifiuto, lui che quasi codificava ogni singolo pezzetto di “qualche cosa”.
Ma quella mente come passava, filtrava e infine come codificava il non codificabile? Quale forma dava all'astrazione pura?
Sai, tu sai bene, cosa penso della bellezza della mente umana, cumulo di fogli, e sai quanto il suo funzionamento eserciti su me un fascino estremo, così come l’esatto suo contrario.
Be’, quindi puoi immaginare quali e quanti pensieri, fantasie io abbia avuto osservando, sottecchi, Ombra.
Quanti immaginari scaffali stava riempiendo e di cosa?  
Quel dialogo muto, il rapporto con la “cosa” inerte, scartata era l’unico ponte che lo univa, impercettibilmente, a un altro invisibile individuo che, in chissà quale momento precedente, aveva usato le mani per gettare il rifiuto.
Lui raccoglieva, accudiva, sistemava, catalogava il “rifiuto”; negando, forse e così, a se stesso una realtà dolorosa.
Quell'esistenza quante porte ha chiuso?
Una domanda che ha suscitato in me dolore e malinconia.
 Ho immaginato la bellezza di un primo bacio, di una carezza; ho fantasticato sulla potenza che solo le palpitazioni di un appuntamento galante ti danno.
Forse… chissà, il suo esercito di soldatini di carta fradicia lo aiutava a “rifiutare” il dolore e insieme a lui tutto il vivibile.

Il vivibile…

lunedì 27 ottobre 2014

Quasi-rap per una lettera d'amore, missiva aperta di Roberto Pinetti


Cara amica mia. 
Ti scrivo per dirti, almeno, quanto già mi manchi. 
Eppure lo so bene, sono stato io a mandarti via. 
Ma non avevo scelta. 
Una volta scritta e mille volte poi riletta, per quanto forse non perfetta, eri la mia lettera. 
La mia lettera d'amore. 
Per questo, prima o poi, te ne dovevi andare. 
Dovevi giungere al mittente, farti spogliare della busta che t'aveva custodita e, lo spero veramente, dopo tutto, farti leggere ancora. 
Ma questa volta da altri occhi. 
Occhi che più non conosco. 
Che mi hanno incrociato svogliati negli anni tristi che si sono succeduti al tempo breve e intenso in cui mi guardavano ispirati. 
Non so con quale sguardo ne quale voce della mente intonerà le parole che ho disegnato a china sopra un foglio verde. 
Certo mi mancherà quel suono silenzioso delle mie parole che andavo a leggere di nuovo e ancora e ancora, a sincerarmi di come si mostrasse sulla carta quel mio amore tratteggiato nell'incerta grafia che aspirava al bello ma tradiva l'emozione tormentata di chi più non spera. 
Per questo ti ho così a lungo conservato. 
Eri l'ultima occasione per sognare. 
ll feticcio sacro da trattenere. 
Il luogo segreto del mio mantra d'amore. 
Così, per quanto strano possa apparire, quando ti ho consegnato, nel flebile imbarazzo delle parole inutili soffiate solo per necessità, non v'era cenno, in me, d'attesa di risposta così come, dall'altra parte, di rispondere non v'era alcuna intenzione. 
Ecco perché ti scrivo, cara amica lettera. 
Per ringraziarti di tutta la compagnia che mi hai tenuto in questi anni. 
Anni d'attesa senza nulla da aspettare. 
Solo tu sapevi riempire il mio cuore del caldo tepore dell'amore. 
L'amore inesistente di un uomo renitente all'ovvio eppur così banale! 
Banale come le sue parole sfacciate nelle lettere disperate, proprio nel senso di prive di speranza, scritte solo.. solo per amore.

mercoledì 24 settembre 2014

Caro cumulo di fogli solcati da una HB...


Forse, se fossi snob… beh non sarebbe poi così male, forse inconsapevolmente lo sono.
Domani giocherò con la mia voce stridula.
Giocherò, sì, amo giocare, mi piace vestirmi con “panni di altri”.
Sai, faccio le smorfie allo specchio, quando tu sei chiuso e abbracci quella HB.
Mi hai vista, sì?
Non arrossirò certo per questa inezia, caro il mio cumulo di fogli.
Voglio confessarti una piccola cosa: tu un po’ m’intimorisci.
Certo, sai tutto di me.
Ti ricordi di quando ti tediavo con Walter?
Era bello, però.
Lui, intendo.
Era il più bel culo più da Levi’s che sia mai esistito. 
Se tu fossi una persona, forse, adesso rideresti.
Ricordo quel gesto con la mano che era solito fare per scostare il ciuffo dagli occhi, ma soprattutto ricordo i suoi asfissianti silenzi.
Rammenti la moquette blu del mio appartamento di via Michele Coppino?
Sai, tornando ai giorni nostri, ieri ho molto riso con la mamma di Bianca.
Stavamo attendendo che il treno, sul quale viaggiavamo, raggiungesse la nostra stazione e io facevo le coccole alla sua bimba Bianca che, come sempre, teneva in braccio.
Alle nostre spalle nessuno, il vuoto al quale, subito, non ho dato alcun peso.
Il treno si ferma, la mamma di Bianca mi accarezza il viso, mi da un bacio e mi dice che mi vuol bene.
Mi scalda il cuore questa sua spontaneità, mi piace, ricambio la carezza e l’esternazione del sentimento.
È una bella ragazzona, la mamma di Bianca, alta e robusta.
Il suo volto è armonioso, gote rubiconde, sempre allegra e profuma di saponetta, come la sua bimba.
Ci salutiamo, io raggiungo il sottopasso e mi rendo conto che invece in molti erano scesi alla mia stazione.
Il vuoto era, in un certo senso, fittizio e riguardava esclusivamente la porta attigua ai due scompartimenti dai quali, evidentemente, occhi curiosi avevano osservato l’esternazione della mamma di Bianca.
Pensavo al mio star bene, al mio sentire, alle mie percezioni, ai profumi… pensavo e i miei pensieri mi piacevano, quando gli stessi sono stati brutalmente interrotti da una faccia da topo pisquano con capelli di lana mortaccina.
Mi domanda, con un’aria inorridita, se non mi avesse “schifato” il bacio della “zingara”.
Nell'immediato non capisco, devo ricorrere a un minimo di concentrazione, faccio spazio tra le immagini che si accalcano nella mia mente, la trovo: la mamma di Bianca.
Già, la mamma di Bianca è una ragazza nomade.
Rispondo al topo pisquano in malo modo, mi stava disturbando, era irritante la sua compagnia, invadente.
Certo tu, cumulo di fogli solcati da una HB, non puoi immaginare quale orrendo profumo indossasse il topo pisquano… orribile ragazzetta, puzzava e un po’ mi ha schifato.
A domani, ciao cumulo di fogli.






mercoledì 17 settembre 2014

L'idiota, lo sterco e la sua immobilità




Vi sono persone che compiono sforzi immani per mostrarsi spregevoli… inutile fatica, poiché basterebbe che gli stessi restassero immobili.
 La sola esistenza in vita dei succitati è prova inconfutabile del loro essere discendenti diretti dello sterco.


             
                     



Foto: Jean Désiré Gustave Courbet, autoritratto
Brano musicale di Piero Ciampi  (Livorno, 28 settembre 1934 – Roma, 19 gennaio 1980)
Testo ADIUS:

Il tuo viso esiste fresco
mentre una sera scende dolce
sul porto.
Tu mi manchi molto,
ogni ora di più.
La tua assenza è un assedio
ma ti chiedo una tregua
prima dell'attacco finale
perchè un cuore giace inerte
rossastro sulla strada
e un gatto se lo mangia
tra gente indifferente
ma non sono io,
sono gli altri.
E così...
Vuoi stare vicina? nooo?
Ma vaffanculo. Ma vaffanculo.
Sono quarant'anni che ti voglio dire... ma vaffanculo.
Ma vaffanculo te e tutti i tuoi cari. Ma vaffanculo.
Ma come? Ma sono secoli che ti amo, cinquemila anni, e
tu mi dici di no? Ma vaffanculo. Sai che cosa ti dico? va-ffan-culo. Te,
gli intellettuali e i pirati. Vaffanculo. Vaffanculo .
Non ho altro da dirti. Sai che bel vaffanculo che ti porti nella tomba?
Perché io sono bello, sono bellissimo, e dove vai? Ma vaffanculo. E
non ridere, non conosci l'educazione, eh? Portami
una sedia, e vattene.

martedì 5 agosto 2014

Catarsi





Ti scrivo ciò che non sono mai riuscita a dirti con la speranza che non sia, per me, troppo tardi.
Tu
non avresti mai dovuto essere comunista
non avresti mai dovuto essere alto come una vetta irraggiungibile
non avresti mai dovuto essere bello
non avresti mai dovuto essere colto
non avresti mai dovuto esserci sempre, sebbene impercettibilmente
non avresti mai dovuto bestemmiare
non avresti mai dovuto addormentarti toccandoti il mento, come se fossi perennemente perplesso
non avresti mai dovuto farmi conoscere la pelle delle tue mani, affinché io non la riconoscessi scorgendola dalla una porta d'un cazzo di ospedale
non avresti mai dovuto insegnarmi a fare la meccanica, l'elettricista, l'imbianchina, la giardiniera, l'autista, la restauratrice, la cuoca, la persona
non avresti mai dovuto leggermi tutto il processo di Norimberga e le avventure Pinocchio
non avresti mai dovuto urlarmi in volto che le principesse non sono mai esistite
non avresti mai dovuto arrossire quando ti ponevo domande scomode
non avresti mai dovuto insegnarmi il valore del pudore
non avresti mai dovuto insegnarmi l’importanza del mio privato
non avresti mai dovuto insegnarmi la sacralità della parola data
non avresti mai dovuto insegnarmi la rilevanza di un "principio"
non avresti mai dovuto insegnarmi che un principio può mutare e che solo le persone dotate di rara intelligenza possiedono il coraggio dell'ammissione
non avresti mai dovuto insegnarmi la differenza fra dignità e orgoglio
non avresti mai dovuto insegnarmi a guidare i furgoni, i camion le Bianchine, le Isomoto, i go kart a pedali, i pattini con le rotelle e le biciclette senza rotelle
non avresti mai dovuto riempire la mia stanza di enciclopedie
non avresti mai dovuto regalarmi una bibbia perché illustrata da P. G. Dorè
non avresti mai dovuto regalarmi le scarpette chiodate
non avresti mai dovuto guardare con me le partenze di tutti i Gran Premi
non avresti mai dovuto insegnarmi il valore del silenzio e dell’attesa
non avresti mai dovuto consolarmi ogni volta che piangevo perché moriva un cavallo in un film
non avresti mai dovuto essere ateo
non avresti mai dovuto portarmi con te al comunale per i derby
non avresti mai dovuto essere bravo a cucinare il gulasch ungherese e le patate con salsiccia
non avresti mai dovuto urlare
non avresti mai dovuto regalarmi la pista di automobiline da corsa
non avresti mai dovuto cucinarmi la bistecca di vitello al mattino
non avresti mai dovuto assumere quell'aria forzatamente indifferente alla notizia del mio primo voto dato ai Radicali
non avresti mai dovuto dirmi che ero figlia di un operaio
non avresti mai dovuto fingerti mago, chiaroveggente per leggere il fondo ghiacciato di  un piatto lasciato sul davanzale in una notte d’inverno
non avresti mai dovuto seguire i tuoi studi dai Salesiani
non avresti mai dovuto bere quel bicchiere di vino rosso che, a tuo dire, lasciavi sul tavolo della cucina per la befana stanca
non avresti mai dovuto regalarmi i modellini di automobili
non avresti mai dovuto insegnarmi l’amore per i vecchi e per le loro storie
non avresti mai dovuto insegnarmi la complicità facendo sostituire, dal cartolaio e di nascosto dalla mamma,  il pennino della mia prima Auretta verde acqua
non avresti mai dovuto raccontarmi delle bombe su Torino e delle porte divelte dai vuoti d’aria
non avresti mai dovuto presentarmi la tua amante oca e imbecille
non avresti mai dovuto raccontarmi il femminismo e gli aborti clandestini
non avresti mai dovuto portarmi a visitare i musei e cimiteri
non avresti mai dovuto farmi ascoltare il tuo amato jazz
non avresti mai dovuto giocare con me alla mummia al museo Egizio
non avresti mai dovuto regalarmi il primo e il secondo cavalletto
non avresti mai dovuto portarmi a visitare la casa di Cavour
non avresti mai dovuto indossare camicie bianche
non avresti mai dovuto regalarmi una salopette di jeans a Pasqua
non avresti mai dovuto insegnarmi a mutare me stessa in una tapparella, affinché potessi ripararla poiché tu, troppo malato, non ci saresti più stato
non avresti mai dovuto insegnarmi l’onestà
non avresti mai dovuto sussurrarmi le tue ultime, maledette, parole fra le braccia
tu, Mario, tu papi, avresti dovuto darmi il tempo di ucciderti prima di morire, così lo faccio adesso.
Ti amo pa'
 Io

mercoledì 30 luglio 2014

Se...

Amore, vorrei raccontarti la speranza.

Un giorno, tanto tempo fa, l’uomo provava sentimenti: tanti sentimenti.
Sentiva con il cuore, prima ancora che con la testa.
Non si vergognava di provare il bene, l’amore e non si difendeva a oltranza dai suoi simili.
Si lasciava trasportare da leggiadre sensazioni che istinti e sentimenti gli sussurravano. 
Viveva con slancio perché impavido.
 Non era un soldatino di carta velina a difesa di un fortino colmo di solitudine; quella solitudine alimentata da lui stesso e dalla quale, con il passare del tempo, ne divenne parte integrante.
Era bello il suo ardimento, la sfrontatezza faceva di ogni singolo individuo un essere diverso,  diversamente amabile o detestabile, l’umanità era variegata.
Quella solitudine, tanto difesa e accudita,  lentamente, ma inesorabilmente, cancellò il coraggio, l’essere umano non si rese conto di quel che gli stava accadendo, di quello che si stava auto- infliggendo.
L’uomo dapprima cominciò, paradossalmente, a sentirsi più forte, senza sapere che in realtà il “mostro”, invece, lo stava vestendo di corazze che la codardìa non gli avrebbe più permesso di togliere.
Diventammo via via tutti identici, privi di quelle differenze peculiari che un tempo furono la nostra vera ricchezza .
Capimmo che cosa, in verità,  fece scaturire la solitudine e quindi l’individualismo: ci tolsero la speranza, o meglio, permettemmo loro che ci togliessero il domani.
L’uomo perse la fiducia nel futuro, questo fu il primo sentimento che ci facemmo portare via, da quel momento, e senza che nessuno di noi se n’avvedesse, tutto divenne piatto, tutti noi cominciammo a difenderci dall'altro.
Cominciammo a difenderci soprattutto dai sentimenti e diventammo un esercito di soldatini di carta velina a difesa, ognuno, del nostro fortino colmo di solitudine.
Ti amo figlia mia… t’avrei amata chiamandoti per nome e avrei provato a insegnarti ad amare a oltranza, sempre e comunque.
Ti avrei chiamata Eva, se tu fossi nata.




Foto: Clarice Lispector (scrittrice, poetessa ucraina)

martedì 29 luglio 2014

SESSO SICURO di Michele Serra



Amami a rischio zero 
affidati alla norma 
che normatizza l'eros 
normalizza la forma. 
Famolo igienico 
famolo occidentale 
col culo telegenico 
e la faccia aziendale. 
Famo il new-sesso 
coi massaggini shatzu 
famolo interconnesso 
coi messaggini a cazzo. 
Metti le calze in rete 
per farmi uscire pazzo 
ma senza uscire mai 
dal mio palazzo. 
Per la consumazione 
voglio essere certo 
che in qualche tuo lacerto 
non si annidi il prione. 
La nuova pruderie 
è la prudenza 
nel Gran Mercato 
della convenienza.











Immagine: Les Amants, Renè Magritte
Fonti:
http://nga.gov.au/International/Catalogue/Detail.cfm?IRN=148052

http://www.repubblica.it/speciale/sanvalentino/serra.html





lunedì 30 giugno 2014

LOUIS SCUTENAIRE


Dove sono le ragazze forti che amavano tori 
E dove le delicate in estasi sotto una nube 
 O le artiste che si dannarono per un cigno?

Stanno nelle vostre febbri stanno nelle vostre braccia 
Stanno nei vostri letti stanno nei vostri libri 
E siete le loro bestie e i loro spettri di bruma.




martedì 24 giugno 2014

saluti e baci


                                                  “dovresti… “
Dovrei? 
No, potrei…

forse sì, forse potrei

e potrei, anche, accomiatarmi qui, ora, da tutti voi;
certa di non avere debiti, di non dover voi alcunché 
                                                                                  

martedì 17 giugno 2014

Questa mia a Voi per...

                                     



                                                                            
                                                                        Nonluogo, 17 giugno 2014
Caro signore,
il Vostro sgraziato sforzo per dimostrare come io sia stata un numero per Voi ha avuto il pregio di  rendere palese, soprattutto a me, l’eleganza mia per non aver esibito, alla Vostra vista, la cifra  che vi assegnai sin dal primo, ormai antico, nostro incontro.
Vostra Io

lunedì 16 giugno 2014

LA METAMORFOSI DEL VAMPIRO

La donna, intanto, dalla sua bocca di fragola, 
contorcendosi come un serpente sulla brace, 
e modellando i seni sul ferro del busto
lasciava fluire parole impregnate di muschio;
— << Ho le labbra umide e ben conosco la scienza 
di perdere in un letto l’antica coscienza.
Asciugo tutte le lacrime sui miei seni trionfanti
e faccio ridere i vecchi del riso degli infanti.
Io sola, per chi mi vede nuda e senza veli,
rimpiazzo la luna, il sole, le stelle e tutto il cielo!
Sono, caro sapiente, tanto dotta in voluttà
quanto soffoco un uomo nelle mie terribili braccia
o quando lascio in balia dei morsi il mio busto,
timida libertina, e fragile e robusta,
che su quei materassi travolti e languenti
per me si dannerebbero gli angeli impotenti!>>
Quando m’ebbe succhiato tutto il midollo delle ossa,
come languidamente verso di lei mi volsi
per un ultimo bacio, io non vidi al suo posto
che un otre pieno di pus, dai fianchi vischiosi!
Chiusi gli occhi nel freddo, improvviso spavento,
e quando alla luce viva li riapersi,
al mio fianco, invece della possente bambola
che sembrava aver fatto la sua provvista di sangue,
tremavano confusi pezzi di scheletro, fra loro
producendo il gemito d’una banderuola
o di qualche insegna appesa a un’asta di ferro
che il vento fa oscillare nelle notti d’inverno.





Poesia condannata tratta da I FIORI DEL MALE
Titolo originario: L’outre de la Volupté (L’otre della Voluttà)

martedì 3 giugno 2014

Il tempo

Roberto Pinetti






Un giorno, senza un motivo particolare, ti rendi conto che le persona che hai amato non avevano tempo. 
Erano bambini, grandi-madri, matrigne, orchi, streghe, fate e principi azzurri. 






Ora appena nate, ora antiche come il mondo stesso. 
Le persone che hai amato non avevano tempo.
Ma il tempo, a volte, ti aveva imprigionato per anni con loro. 
In gabbie d'attesa e speranza. 
Oppure, fuggiva improvviso dalla finestra aperta nella stanza. 
Come il buio della notte quando arriva il mattino. 
Allora, ti scopri a pensare, di nuovo, che le persone che hai amato non avevano tempo. 
Vivevano da sempre nella tua memoria prima ancora d'averle incontrate. 
A volte, stelle già cadute prima d'essere avvistate. 
Non avevano tempo, loro, e prendevano il tuo a piene mani, come acqua di fonte. 
E alcune di esse, dopo essersi a lungo dissetate, ancora non avevano tempo. 
Non avevano più tempo per te che, all'improvviso, abitavi il loro passato.





martedì 27 maggio 2014

Una sconosciuta di nome ‘grafica’ per il noto Picasso


BuonaVita

Perché senza l’arte nessuna vita sarebbe buona







A fine Novecento si diceva «Al nostro secolo non restano abbastanza anni per arrivare a conoscere tutte le opere di Picasso», è così anche oggi. 

Lo spagnolo Pablo Picasso è noto come pittore, ma geniale anche come scultore e litografo.

Se i dipinti più noti al pubblico sono del periodo blu e rosa o i rinomati quadri cubisti, geniale si può ritenere la produzione grafica, compiuta per oltre quarant'anni. 
Realizzò oltre  2.500 incisioni, che per singolarità di contenuti e tecniche d’esecuzione, lo resero  il più rilevante incisore del XX secolo. 
In particolare fu grandioso verso il campo dell’editoria, disponendo illustrazioni per libri d’artista che vennero pubblicati dai più grandi editori dell’epoca. 
La sua estesa carriera grafica ebbe inizio nel 1899 e lo vide sperimentare diverse tecniche, dall'acquaforte all'acquatinta, dalla puntasecca al bulino, dalla litografia al linoleum in un percorso sempre parallelo a quello pittorico.



Ed ecco un abbraccio ricolmo di una sensualità mozzafiato



 in ‘Gli amori di Giove e Semele (25 ottobre 1930)’

dove la stretta protettrice di Giove affida grandiosità a tutta la resa finale creando una aureola sul capo di Semele in atto di cura, affetto e chiusura: un amore dove serve e basta il silenzio. 
Di questa tavola esistono altre cinque versioni eseguite sempre lo stesso giorno dello stesso anno. 





Poi mi piace evidenziare un esemplare grafico che racchiude interventi di puntasecca e raschietto insieme all'acquaforte, un capolavoro grafico dell’ultimo libro illustrato creato da Picasso 

‘La chute d’Icare, 1972, acquaforte’ dove tre volti inquadrati da una linea netta, corposa, nera contrastano con la parte inferiore esile, leggiadra, chiara. Un’opera modernissima, dai volti ingigantiti e distorti che ben rappresenta lo stile che diverrà cardinale nella pittura.





Buon proseguimento di vita a chi con l’arte e nell'arte sa perdersi e ritrovarsi.  



lunedì 26 maggio 2014

Mr Godzilla


emmegrafia







Fino a pochi anni fa le case di distribuzione cinematografica italiane tenevano i film "in caldo" per la stagione fredda: se un film usciva negli Stati Uniti a fine primavera, erano capaci di non farlo uscire prima di ottobre. L'estate era un periodo minore in cui si riciclavano vecchie pellicole o si facevano uscire i cine-cocomeri, le controparti vacanziere dei cine-panettoni.

La globalizzazione ha cambiato anche questo (ho sempre sognato di scrivere una frase del genere): ora i film in Italia vengono distribuiti in contemporanea con il resto del mondo (o quasi). 
Ovviamente, per noi Italiani, il resto del mondo è l'America. Così ecco che i social network si sono agitati nell'attesa dell'ennesimo remake di Godzilla. 
Ma come si fa a vedere un film del genere senza aver visto (magari in una sala parrocchiale) l'originale giapponese del 1954?

Il film originale fu girato nel Giappone del dopo guerra. Doveva essere un film di mostri (Kaiju), ma le ferite della guerra erano così gravi e recenti che finì per diventare una metafora dell'olocausto nucleare.

Questa foto, di cui non ho scoperto l'autore, ritrae Haruo Nakajima, l'attore che ha impersonato Godzilla per vent'anni fino al 1974, durante una delle frequenti pause di lavorazione. Il primo costume, quello originale, era fatto di gomma armata di maglia metallica e pesava più di un quintale. La casa produttrice aveva ingaggiato anche Katsumi Tezuka perchè si alternasse a Nakajima nelle scene, ma il primo svenne per la fatica durante la prima ripresa e Nakajima girò la maggior parte del film (e i molti altri a seguire).





martedì 20 maggio 2014

Eutanasia di un viaggio


Ho dormito con uno sconosciuto.


Io che reputo il sonno lo stato più intimo di una persona, la condizione che può essere condivisa solo in rarissimi casi e non con un “qualunque”.

Le difese scivolano via, il volto, troppo rilassato, diviene come trasparente sino a quasi palesare le immagini che la mente partorisce; fotogrammi d’intimità assoluta.

Ho dormito con uno sconosciuto.


Io che dormo da sola, ho dormito con lui: un perfetto estraneo, un senza nome, uomo il cui volto ho scordato.
Nulla in comune con la trama di Ultimo tango a Parigi, film che amo… niente che gli somigli, eccezion fatta per l’assenza di un nome, almeno come avviene per buona parte della celebre pellicola.
Dello sconosciuto io non ho memoria alcuna, non conosco il suo nome né ho mai saputo se avesse avuto una consorte morta suicida o se stesse gestendo un albergo o una pizzeria, se egli fosse uno scalatore del K2 o, chissà, un fumettista-cantante.
Al mio risveglio lui era lì, bocca un po’ aperta, un leggero sibilo; io confusa, disorientata per un attimo che m’è parso lunghissimo, ricomponendomi, ho cercato risposte ai miei quesiti…
Quell'attimo di sbandamento, di vuoto è durato fino a quando mi sono resa conto d’esser sul treno, seduto accanto a me, dormiente quanto lo ero stata io, lo sconosciuto.


martedì 6 maggio 2014

Marcire con disinvoltura


Imbarazzata per la signora che riesce a far scappare i pesciolini dalla vasca dell’ittioterapia, vasca da pediluvio per improbabili incontri occasionali e no.
Cosa dire del fastidioso “intimo” prurito del quale è affetta la povera ragazza che su un lettone chiede consiglio alla sua mamma?
In ascensore, poi, si rischia di incontrare signore che emanano fetori indescrivibili, odoracci di cui parlano con una certa disinvoltura e noncuranza; ovvio, è assolutamente comune!
Lezzo scaturito anche dal corpo di quella giovane donna che il divano, dotato d’intelligenza, tiene a debita distanza dal probabile corteggiatore.
 Sofà che diligentemente si unirà alla sua metà, avvicinando così i due, appena la signora avrà indossato un assorbente dotato delle ”speciali molecole Enne tre”.
Mi consola, comunque, la possibilità elevata che abbiamo di raggiungere rapidamente un orgasmo solo usando profumi firmati; in questo caso siamo come possedute.
 Biascichiamo parole incomprensibili, sussurriamo, emettiamo suoni che paiono arrivare da altri mondi, allora capisco che siamo fortunate: possiamo godere… quando (e se) riusciremo a capire il nome della marca!
Ci ha pensato un detersivo per la casa a riportare tutto in una sorta di “classicità”.
Cenerentola che pulisce velocemente e senza fatica: lei sì che ci era mancata!
Gli uomini?
Profumano di rosa canina… forse.




Fonte immagine:http://viaggi.libero.it/news/25059033/le-citta-piu-puzzolenti

martedì 22 aprile 2014

Alfred McCoy Tyner


Jazz note secondo Marco




Scrivere di Alfred McCoy Tyner, su queste pagine, somiglia un po' a scoprire l'acqua calda, ma la vera scoperta è quella di vederlo ancora così vitale e così grande a 76 anni (nasce a Filadelfia l'11 dicembre 1938). 
Magro, scheletrico, la classica andatura dinoccolata di sempre, dietro alla tastiera di un pianoforte torna giovane e compensa con classe quello che può aver perso in potenza.
 In questo video lo vediamo con Ravi Coltrane (e che le colpe dei padri non ricadano sui figli):



               

venerdì 18 aprile 2014

Noi siamo quello che vediamo




Roberto Pinetti








Hai visto? Sei certo? Hai almeno guardato? Hai visto o credi di aver riconosciuto qualcosa e ti sei fermato li. Come sempre. Credi di vedere ma sei cieco. Credi di capire ma, tutt'al più hai "riconosciuto" dei segni che "pensi" di aver già visto. Così credi, ti illudi, di aver visto, guardato, capito magari! Ma non hai ancora aperto gli occhi. Forse pensi che leggendo una didascalia, una spiegazione, magari quella dell'artista stesso, oppure di un critico qualunque o, in generale, un "addetto ai lavori" dell'arte visiva, potrai capire. Ma non è così. Guarda. Apri il cuore e zittisci la mente con tutte le balordaggini che ci hanno ficcato negli anni e ascolta. Osserva. Fai tacere la testa che ti suggerisce le stupide connessioni che spacciamo per comprensione ma sono solo "riconoscimenti", recupero di pre-concetti già catalogati e inscatolati, così come inscatolate sono gran parte delle persone. Guarda. Fidati della connessione profonda che pur esiste fra gli occhi e la psiche, lo sguardo e l'anima. E non avere paura di "scoprire". Bandisci i luoghi comuni, almeno per un istante, e lascia scorrere la consapevolezza che emerge quando facciamo tacere i pensieri inutili, quelli preconfezionati e imparati a memoria, e che come pappagalli ripetiamo all'infinito, per sentirci uguali, come gli altri, non sapendo che "altri" è un termine generico che riflette, come uno specchio, noi stessi quando non siamo consapevoli. Guarda. Osserva. Sono le uniche parole che posso ripeterti. Dato che la comprensione, che è una forma della Conoscenza, è autentica solo quando ti attraversa personalmente. Quando è frutto di un profondo lavoro/cammino individuale. E non può certo derivare da parole lette o sentite e poi memorizzate così da ripeterle all'occasione. Se provi a farlo, se solo riesci per qualche momento a porti davanti a questa immagine con gli occhi finalmente aperti. Allora comprenderai cosa significa: "noi siamo quello che vediamo".

Roberto Pinetti


«Noi siamo quello che vediamo»
Dittico
 Fotografia digitale Stampa: diretta su lamiera zincata
di
Roberto Pinetti


mercoledì 16 aprile 2014

Il fotografo delle dive



emmegrafia






Peter Basch (Berlino 1921 - New York 2004) era il fotografo delle dive. In rete poche note biografiche (infanzia in germania e poi il resto della vita negli USA), e la lista delle dive (e dei divi) che ha ritratto per Life, Look e Playboy. Le sue foto ci parlano di una visione non convenzionale, che va oltre il solito ritratto del volto o della posa cinematografica, che però riassume il personaggio ritratto con particolari simbolo, come questa foto di Marlene Dietrich del 1964 tutta costruita intorno alle sue leggendarie gambe.





mercoledì 2 aprile 2014

Sempre io: Egon Schiele

BuonaVita

Perché senza l’arte nessuna vita sarebbe buona








Egon Schiele (1890 – 1918), pittore ed incisore austriaco, è stato un artista figurativo del primo Novecento, esponente dell’espressionismo viennese. 

Una vita rapida e un’arte profondamente intensa nota per l'introspezione, per i corpi contorti, per il sesso in esposizione, ma ogni medaglia ha due facce ed ecco che alberi e paesaggi sono stati protagonisti meno noti di un’arte essenziale ed elegante, rapida ed emozionante. 
La fragilità del tratto diviene interprete di una precarietà esistenziale espressa da alberi, simbolo di vita in continua crescita, davanti ad un sole minuscolo e spento, urlo stabile nella transitorietà di alberi cresciuti silenziosamente con fatica, dove la diversità è sempre evidente, dove si assiste a quella strana voglia di star soli. Alberi in libertà per un artista che stava stretto ogni giorno. Non esiste lucentezza né cromatica né reale in Schiele e la grandiosità sta proprio in questo, in quel tratto sempre casuale, nei toni sopiti e rilassati anche nell’energia di un rosso o nello splendore di un giallo, nella rapidità di una linea riconoscibile ovunque che diviene poesia visiva.
E l’arte, per chi ne fa una ragione esistenziale, è la sola espressione di conoscenza per dire della propria vita che, nonostante i problemi e le difficoltà (e Schiele ne sapeva qualcosa), è sempre una ‘buona vita’ per cui vale la pena combattere. 
Anna Soricaro








Anna Soricaro; colei che sa parlare d'arte



Anna Soricaro: lei sì che l’arte la conosce.
Conobbi Anna tramite un’e-mail garbata con la quale si presentò, descrisse dettagliatamente, nella stessa, i miei lavori; cominciò così il nostro rapporto.
Lei ha curato e, spero-credo, curerà alcune mie mostre presso una ben gestita galleria di Barletta: Zerouno.
Mostre organizzate con il patrocinio della prestigiosa Fondazione De Nittis.
Curatrice seria e attenta,  critica d’arte preparata e competente.
 Serietà, attenzione, preparazione, competenza tutte qualità in via d’estinzione nell’ambiente pittorico che, al contrario, è appannaggio di “mestieranti” sempre meno preparati e seri.
Fra donne succedono cose “strane”, una sorta di magica alchimia talvolta si palesa, così come quella splendida complicità.
Oggi, Anna ed io, siamo molto amiche, un grande affetto e stima mi lega a lei e tutto ciò prescinde dal giudizio sul mio operato, che rimane, com’è giusto che sia, obiettivo rispetto ai miei lavori che via via esamina con attenzione e sensibilità.
Ecco chi è Anna, cenni tratti da un sito d’arte:

Critico, esperto, curatrice d’arte Laureata in Lettere presso l’Università di Bari si è specializzata in Management dei beni culturali presso l’Università di Lecce in un master di primo livello. Si è occupata di progettazione europea, dal 2000 è esperta d’arte e direttrice della Fondazione De Nittis di Barletta e si occupa di reperire, studiare e catalogare le opere inedite di De Nittis.
È docente di master presso istituti privati di management di beni culturali e turismo e direttore artistico del Centro Culturale Zerouno. Ha collaborato con diversi periodici locali e riviste online; diverse sono le pubblicazioni nel campo turistico locale dopo studi di fattibilità e sopralluoghi artistico - archeologici. 

Siti:

martedì 25 marzo 2014

Io ti amo

Sono giorni che riecheggia nella mia mente il suono della tua voce
 quando mi dicesti: << Io ti amo>>.
Ricordo più d’ogni altra cosa l’emozione forte, come una luce abbacinante, che pervase ogni millimetro del mio corpo e della mia mente.
Rammento
 la mia risposta
 intrisa di felicità, la ricordo: <<Io ti amo>>.
Qual era il tuo nome?
Chi eri?
Io di te non ho alcuna reminiscenza… 
eccezion fatta per quella frase: <<Io ti amo>>.





Fonte immagine: 

http://sweetvisage.tumblr.com/post/38106883710/iamjapanese-gustav-klimt-austrian

venerdì 21 marzo 2014

Come la Sacher

                                                     
                                                            Jazz note secondo Marco
                                                     


        




Adesso se parla poco, ma negli anni '90 (del secolo scorso) Joe Pass – al secolo Joseph Antony Passalacqua 1929 / 1994 – era come la torta Sacher per gli amanti della chitarra jazz: "non conosci Joe Pass? Continuiamo così, facciamoci del male".
Capitò anche a me di sentirmi dire una cosa del genere e alla prima occasione lo andai a vedere...

Questo brano da un bell'esempio della sua tecnica chitarristica, anche se in un contesto molto più formale del suo solito: niente eterna sigaretta, niente brani allungati allo spasimo e alla fine lo vedrete guardare l'orologio preoccupato di aver suonato più di quanto gli fosse stato concesso.

   
                      

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