lunedì 22 agosto 2016

La società è malata; che muoia la società!


Sono spesso tacciata d'esser cinica, quando va bene, o, quando va male, d'esser una vera bastarda; sarà vero, non lo so e neppure m'interessa saperlo.
Uso sempre meno, e sempre più con notevoli restrizioni ai più o ai meno, i famigerati social: FB in testa.
I miei contatti sono pochi, rispetto alla media dei possessori di profili, e di quei pochi, di tanto in tanto, ne elimino qualcuno per mancanza d'interazione.
Non rientra nei miei interessi possedere un “supermercato di carne informe e virtuale”.
Se un social non socializza mi pare perda anche quel misero scopo.
Il lezzo di solitudine che emettono questi non luoghi spesso m'intristisce ed è, anche, per codesto motivo che il mio accesso diviene talvolta sporadico.
Attribuisco, tuttavia, agli stessi alcuni meriti.
Ho ritrovato persone delle quali avevo perso le tracce, ho riallacciato un rapporto personale molto importante, ho conosciuto persone che oggi mi sono care e altre che care non lo sono più.
Ho aderito a svariate pagine musicali o d'informazione, posso sapere, e quindi visitare, mostre e spazi di mio interesse.
Mi è stato possibile avere contatti con curatori, critici, galleristi e associazioni; ho ricevuto messaggi personali il cui pensiero ancora mi commuove e molto altro.
Viviamo un tempo strano, un tempo di transizione che ci fa paura perché non sappiamo dove ci condurrà. Mi pare estremamente adeguato definirlo, così come fa qualche giornalista, un tempo liquido il cui contenitore è invisibile.
Talvolta percepisco questa nostra società come una sorta di grande piazza gremita da individui chiassosi, persone intente a raccontare, ognuno, la propria fiaba.
In questo nostro strano modo di fingere una “dignitosa” sopravvivenza, e un ancor più falso “va tutto benissimo (pronunciato con almeno 4 esse), non sappiamo più vergognarci.
La vergogna è sentimento che non ci appartiene più… e si vede.
Quel vermiglio che invade con calore le gote, quell'impulso che ci vorrebbe sotto delle pezze nascosti al mondo intero, ecco; quella sensazione di disagio che, dopo essersi impossessata delle guance, pervade tutto il corpo e che si avvinghia come un polipo allo stomaco; quel sentire noi lo abbiamo perduto.
L'assenza pressoché totale del suddetto sentimento si ravvisa in ogni comparto della nostra malata società.
Una classe politica che a definirla disgustosa è farle un gran complimento, che comunque, ci piaccia o meno, è il nostro specchio; il nostro doppio… siamo noi.
Genitori impazziti che, riconoscendo genialità nei propri pargoli, genialità che vedono solo loro perché, evidentemente, si drogano pesantemente, rompono i cabbasisi al globo intero con la loro incessante invasione: vedere scuola, per fare un solo esempio su mille.
Vergogna senza la quale manca la capacità analitica, l'onestà intellettuale e la giusta dose di umiltà che ci permetterebbe di scusarci con il prossimo.
Siamo dei codardi disonesti che, anche grazie alla virtualità, riusciamo a imbellettarci celando, così, una misera esistenza.
Vite fatte di solitudine e pochezza intellettiva, per non parlare della pressoché assente intelligenza emotiva. Non ho le carte in regola per scrivere quanto dobbiamo addebitare all'uso, spesso compulsivo, dei social, questo è un compito che spetta a sociologi e psicologi, ma è certo che lo stare nascosti dietro a un “paravento” non fa di noi degli impavidi.
Quasi come se fossimo formiche ubriache capitate nella centrifuga di una lavatrice, viviamo così questo tempo veloce e incomprensibile.

“Non ho capito dove sei in vacanza perché sul tuo profilo FB hai scritto niente e poi perché non rispondi ai miei commenti?”

Questa, per sommi capi, la frase che un mio amico ha proferito in una telefonata.
Voglio precisare che prima di pubblicare queste righe ho fatto a lui il discorso sulla vergogna, preciso, inoltre, che mi è stato concesso il permesso di citare la sua frase.
Ma quel che mi preme chiarire è che la persona in questione è uomo innanzitutto molto intelligente, colto, con una posizione sociale invidiabile e, fattore non trascurabile, assai affascinante.

Fatte le debite precisazioni e avendo indotto alla “vergogna” il mio interlocutore per le oscenità da lui proferite, ho chiarito alcune, per me urticanti, motivazioni sul mio distacco progressivo dai non luoghi… dopo la più importante: la mortificazione di tutti i miei sensi.
Il disamore, se di amore precedente si può parlare, è avvenuto osservando quanto privato viene sbattuto allegramente in piazza.
Messaggi che, per rispetto verso l'altro, dovrebbero essere recapitati direttamente al destinatario dal mittente in persona vengono, invece, elargiti al “pubblico” il quale, ignaro del vero senso di quella pochezza e incapace di “tacere”, risponde come se fosse un coro di sorci squittenti, topi che si nutrono d'immondizia senza valore.

Ho passato un po' di tempo a curiosare alcuni profili, non solo quelli dei miei contatti, prima di provare un senso di pura e profonda tristezza.
Ho spiato, soprattutto, i commenti a frasi e altro.
Spesso accozzaglie di insensate frasi farcite di superlativi “assolutissssimi” e lodi sdolcinate con evidenti tentativi di emergere da quell'anonimato che, in questo oggi, risulta tanto fastidioso.
Nel mio attacco di voyeurismo statistico ho riscontrato, inoltre, un uso smodato di quelle faccine (emoticon).
Bamboccetti che spruzzano cuori e aMMore a volontà.
Le animazioni inondando le righe, piccoli spazi messi a disposizione dal domatore occulto, con quella felicità in plastica tanto in voga e che, calorosamente, ci ordinano di mostrare.
Il destinatario non ne esce meglio, anzi, per molti versi assume le sembianze di un penoso vanesio che pare ricercare, nei plausi della platea di spilli impazziti, la soluzione definitiva al suo, palese, complesso di inferiorità.
Se poi il “ricercatore o ricevitore” di tali attenzioni assume, come uso o tattica, il silenzio, ossia non degna la platea neppure di un misero, ma tanto agognato, “mi piace”, ecco che allora riesce nell'intento di indurre tacitamente il poveretto/a a credere nella sua preminenza.
In questo mare di strazianti tentativi di emersione vi sono, è onesto scriverlo, profili molto ben gestiti.
Pagine personali delicate infarcite di buona musica, notizie importanti e intelligenti disquisizioni.
Solitamente sono profili adoperati con scopo divulgativo, ma anche con quella giusta e garbata dose di frivolezza.
Sono tuttavia il numero minore.
Se riuscissimo ancora a vergognarci sparirebbe la stragrande maggioranza di questa classe politica.
Riusciremmo a fruire di buone letture giornalistiche, evitandoci fastidiose gimcane fra articoli di prezzolati scribacchini.
Vi sarebbe una moria di punti esclamativi e un pensiero rivolto ai defunti superlativi assoluti.
Se ci riappropriassimo del sentimento succitato tornerebbero, timidamente e discretamente, congiuntivo e condizionale, sparirebbe Io, Io, Io e gli scarrafoni sarebbero belli a mamma loro e, per libera scelta, a pochi altri.
Insomma: il rossore del volto ci farebbe apparire più simili a degli umani lasciando ai sorci il loro squittire.


Ma che muoia questa società fatta anche da me!











domenica 14 agosto 2016

Buone cose...

               






                                         Buone vacanze a tutti... a tutti meno uno




                       

Michel Petrucciani - "Estate" - Live 1991

mercoledì 3 agosto 2016

Dialoghi muti




Le immagini concepite dalla mia fantasia sono rimembranze la cui cancellazione è assai complessa;
per alcune di loro, pressoché, impossibile.


                  






     
                             

lunedì 25 luglio 2016

Detto talmudico





 “Insegna alla tua lingua a dire non so perché non ti tocchi di esser preso per mentitore.”

Detto talmudico

martedì 19 luglio 2016

Intimità



Può esser di piccole dimensioni che, graziosamente, raccoglie segni e sussurri, ma anche di grandi proporzioni che sorregge le mie urla e i miei gesti inconsiderati, graffianti

Bianca, grigia, écru.
Sottile come velina o corposa come carta di riso…
Sia essa in qualsivoglia modo e colore, io al fascino della carta non sono mai riuscita a resistere.
Stamani mi sono resa conto di non possedere nulla di più intimo e segreto del mio blocco schizzi.
Nessuno ha mai sbirciato lì, a nessuno ho mai concesso il permesso di farlo né mai lo concederò.
I miei blocchi schizzo, imbottiti di appunti scritti e bozzetti, mi conoscono a fondo e sopportano stoicamente ogni mio mutamento.
Loro saranno i primi che brucerò… 


lunedì 27 giugno 2016

La coerenza di Primo

Mi capita spesso, ne devo aver già fatto cenno in questo non luogo, che quando qualcuno, parlando di sé stesso, puntualizza ripetutamente una o più peculiarità proprie io rizzo le antennine.
Più son nobili, o comunemente ritenute tali, le caratteristiche che il mio interlocutore si attribuisce e più a fondo scava la mia innata, e talvolta fastidiosa, osservazione.
La coerenza è una delle proprietà ritenuta, dalla stragrande maggioranza dell'umanità, eccelsa.
Per quel che mi riguarda non la ritengo poi così regale perché spesso, dietro a questo termine, si cela una mera ottusità; sono rare le persone a cui riconosco coerenza.

Talvolta dico che, essendo pochi gli argomenti in cui mi riconosco una granitica coerenza e amando il coraggio del cambiamento, sono coerentemente incoerente.

Proprio sulla coerenza ho visto cadere eserciti di umanità tutta d'un pezzo.
Nauseabondi tentativi di mostrare al mondo ciò che si vorrebbe essere spacciandolo per ciò che si è veramente.
Qualche tempo fa, poco tempo fa, ho rivisto un uomo al quale sono stata legata sentimentalmente per alcuni anni.
Non farò, per ovvie ragioni legate al privato, il suo vero nome. Primo; lo chiamerò così in onore di uno degli autori da lui più amati.
Primo è sempre stato un uomo particolarmente affascinante, direi bello.
Molto alto, occhi azzurro mare, la barba argentata come la sua folta, e decorosamente scompigliata, capigliatura.
I miei ricordi con lui sono molteplici, ma ciò che più spicca è il suo, molto torinese, garbato modo di fare.
Un comunista modello Italia anni '80, vecchio PCI per intenderci. Un uomo che ha fatto parecchia strada nella sua vita lavorativa, uno che si è sempre dato da fare.
Una trentina di anni fa ha avviato un'attività artigianale che si è, grazie alla sua capacità umana e imprenditoriale, espansa.
La mentalità duttile di Primo, pronta al cambiamento, ha fatto sì che, con l'avvento della crisi, mutasse in buona parte l'origine della ditta e si ampliasse nonostante le molte difficoltà dei mercati.
Ora è una bella azienda solida con alcuni dipendenti
Primo, nel nostro incontro, mi raccontava di alcune vicissitudini legate alla sua salute che lo hanno indotto a decidere di smettere di lavorare.
L'agiatezza raggiunta negli anni di attività e la malattia, però, non lo hanno reso insensibile, anzi…
Sono stata io a chiedergli cosa fosse stato dell'azienda, Primo, conoscendolo bene, non ne avrebbe fatto cenno; egli è un signore, un vero Signore.
La ditta tutta, furgone nuovo compreso, è stata donata.
Mi spiega che, dapprima, aveva proposto a tutti i dipendenti di proseguire senza di lui, ma solo uno di loro si è sentito di continuare.
L'ex dipendente, oltre al non licenziamento dei colleghi, avrebbe dovuto, entro un certo tempo, assumere personale.
Altra, e ultima, clausola è che l'azienda non potrà essere ceduta in cambio di denaro, ma donata a sua volta.

Il tutto condito da una serie di eccezioni, ovviamente, legate alla possibilità o impossibilità del mercato che non starò a elencare.

Be', la notizia bella è che l'attuale amministratore ha già assunto, a tempo indeterminato, un dipendente.
A ben pensarci, Primo, non ha mai parlato di coerenza… ha sempre, però, agito con quel garbato silenzio che riconosco a un torinese D.O.C.
Mi pongo una domanda: sono una donna fortunata perché ho incontrato qualche vero Uomo o in gamba perché evito i blagueur?

Mah...
                   

                             

lunedì 20 giugno 2016

La forza travolgente dell’esperienza.



La forza travolgente dell’esperienza.


(da.. Casa Corpo Anima)


Il mondo ha in sé voci che, se ascoltate, possono indicarci il senso della nostra vita.
Quando, anche per un istante, riusciamo a liberarci dal rumore dei perché, otteniamo lo spazio in cui collocare la nostra comprensione.
Anni fa trasmettevano una serie di film per la tv che descriveva il non facile insediamento di una colonia umana su un nuovo pianeta. Quel mondo era già abitato da esseri con caratteristiche molto particolari i quali vivevano nel sottosuolo, "il popolo delle ombre". A me parve subito che quegli abitatori sotterranei si richiamassero, per molti aspetti, agli aborigeni, e che l'intera vicenda potesse evocare l'insediamento dei britannici nel territorio australiano. In ogni caso, indipendentemente dalle intenzioni consapevoli degli sceneggiatori, questa era stata la sensazione che ne avevo ricevuto.
In un episodio della serie, un umano incontrava una donna anch'essa di origine terrestre che, però, era stata adottata fin da piccola dal popolo sotterraneo e ne aveva assimilato usi, costumi e capacità. Il dialogo si svolgeva, all'incirca, come segue.
Donna del Popolo delle Ombre: - rivolgendosi all'uomo - «Ma perché continui a parlare tanto!?»
Uomo della Terra: «Ti sto solo facendo delle domande. È il modo col quale noi terrestri cerchiamo di capire le cose che ancora non comprendiamo!»
Donna: «Siete strani voi terrestri! Noi per ottenere la stessa cosa ce ne stiamo in silenzio, ad ascoltare.»
Questa risposta mi ha sempre intrigato e divertito. Parla della facoltà di ascoltare, della qualità dell'essere recettivi. Sono sempre più convinto di quanto sia necessario far posto dentro di noi, per consentirci nuove acquisizioni. Fare spazio, insomma, affinché le cose abbiano modo di raggiungerci.
La ricettività, in fondo, ha un preciso rapporto con la capacità, parola, quest’ultima, che ci rimanda alla possibilità di fare, ma anche all’attitudine a contenere. In altre parole, un vaso già colmo non serve a nulla.
Questo lavoro parte dal presupposto che esistano modi di conoscere più ampi rispetto ai processi mentali di tipo lineare, guidati unicamente dalla logica causale.
L'intento è di allargare lo sguardo lì dove di solito siamo abituati a restringerlo e limitarlo.
Il metodo è quello che si serve del pensiero analogico il quale, come vedremo, ci permette di risalire dal particolare alla totalità e di attribuire connessioni significative fra cose od eventi che, diversamente, rimarrebbero oscuri per continuare ad apparirci insignificanti.
La forza travolgente dell'esperienza
Forse non è un caso che le prime righe di questo scritto risalgano al periodo in cui stavo predisponendo il mio primo studio di psicoterapia. Di lì a poco dovetti affrontare la perdita di mio padre ed io ricevetti in eredità l’appartamento nel quale andai ad abitare.
Per me quel luogo divenne, come ogni autentica eredità, impasto d’amore e dolore.
Entrare, prendere possesso, vivere in quella casa, furono azioni ben diverse da ciò che in passato avevo già sperimentato.
Mi trovavo improvvisamente a contatto con tutti quei mobili ed oggetti, che rimandavano al ramo paterno delle mie origini. Tutta la memoria della famiglia di mio padre, delle origini di mio padre e delle mie stesse era racchiusa fra quelle mura. La storia della mia famiglia era nelle mie mani. Ma, contemporaneamente, dovevo ricavare in quel luogo i miei spazi, fare della casa delle mie origini la "mia" casa. Dovevo decidere cosa tenere e cosa scartare e, come una chiocciola, da dentro, costruirmi la mia conchiglia, il mio guscio.
Questa, in breve, è la storia della prima fase, quando, come dicevo, tracciai solo le basi di questo lavoro. Sono poi trascorsi anni in cui ho continuato a svolgere sia l’attività di psicologo e psicoterapeuta sia quella di artista o, come preferivo definirla un tempo (così come mi era stato trasmesso da un professore all'epoca degli studi d'arte), di ricercatore visivo. Ma proprio quando i quadri parevano sul punto di liberarsi del carico nero dei miei lutti e le mie installazioni*(1), sempre più esplicitamente, descrivevano un anelito alla spiritualità, mi trovai a precipitare in un baratro così scuro che non me ne avvidi se non dopo molto tempo e così profondo da farmi scambiare per volo ciò che risultò essere, invece, caduta.
Quando scegliamo di rapportarci all'interiorità e alla profondità dobbiamo fare attenzione che essa non si confonda con la solitudine annichilente dell'isolamento, così come affacciandoci sull'orlo dell'abisso è necessario rimanere saldi e non farci trascinare dalla vertigine. Spesso però, fortunatamente, la vita ci porta con le malattie anche le cure, ovvero, coi problemi anche le soluzioni.
In quel difficile periodo la mia abitazione mi appariva sempre meno curata. Senza rendermene pienamente conto avevo omesso, giorno per giorno, di dedicarle quelle attenzioni che sono invece dovute al luogo in cui viviamo. In una stanza erano accumulati tutti i miei quadri e, lentamente, la polvere iniziava a ricoprirli. Tolte le tende dalla finestra, infine, le persiane erano rimaste permanentemente chiuse, ponendo definitivamente quel luogo nell'oscurità e nell'abbandono.
Ma proprio in coincidenza con una delle estati più torride che a memoria d'uomo si fosse registrata in Italia, si verificò un cambiamento, improvviso e inatteso.In quel momento presi finalmente atto di dover fare qualcosa per la mia casa. Fui altrettanto certo, da subito, che quel "qualcosa" era essenziale alla mia persona e per la mia vita.
Procuratomi il materiale occorrente, mi misi a scrostare le pareti della cucina. Ripresi, così, il duro lavoro cominciato col mio insediamento in quell'appartamento. Allora non avevo ritenuto necessario imbiancare la cucina. Ora non solo intendevo dipingerla ma iniziavo addirittura con lo scrostarne i muri.
Il caldo opprimente e il lavoro, già di per sé piuttosto faticoso, presto mi portarono in una direzione fino ad allora quasi ignota, in cui il presente era l'unico tempo esistente e mi apriva a dimensioni immaginative straordinarie, come fossi precipitato in un diverso stato di coscienza. Tra il caldo terribile, il sudore e la fatica, il dolore della mia anima continuava a persistere ma assumendo via via un senso diverso, quasi si fosse trattato di un percorso iniziatico.
Mi scoprii, così, a tessere analogie con l'idea che mi ero fatto, allora senza alcuna conoscenza diretta, della capanna sudatoria *(2) in uso presso la tradizione dei nativi americani e di simili esperienze d'altri popoli lontani.
Il dolore dell'anima non cessava ma, con il caldo terribile, la fatica e il sudore, pareva potermi parlare, dirmi cose che, forse, non avevo mai avuto il coraggio di ascoltare. Il raschiare della spatola contro il muro emetteva un suono stridulo, e presto mi parve trasformarsi come in una nenia od un'antica canzone. Rasch, rasch, rasch, un preghiera senza tempo si diceva da sé e più o meno faceva così:
Raschiando le pareti della mia cucina, raschiando strati di pittura e intonaco, raschiando strati di storia e memorie nascoste, raschiando ciò che va tolto per scoprire cosa rimane, raschiando senza nulla cercare, raschiando sino ad arrivare al cuore, fino al di là del cuore, fino alle radici più profonde, nel luogo dove si prepara il cibo, nel luogo in cui si consuma il cibo, nel luogo ove si trasforma ciò che sarà trasformato, raschiando via le idee ed i pensieri inutili, raschiando via le recriminazioni, raschiando via le paure e gli impedimenti, raschiando tutto ciò che non serve, per lasciare solo il necessario, raschiando con forza e fatica, grondando sudore, raschiando fino ai mattoni, fino al centro della terra, sino a vedere le stelle, fino al mattino di un nuovo giorno, raschiando per poi ricostruire, vivere e continuare, tutto questo avviene ed è già, raschiando, raschiando i muri della mia cucina.
Furono mesi di grande fatica. Alcuni giorni maledicevo il momento in cui avevo iniziato quel lavoro e, in particolare, di non aver chiesto aiuto ad alcuno. Ma in fondo al mio cuore sapevo di essere nel mezzo di un percorso che a nessuno avrei potuto demandare. Un percorso che in quel momento connetteva in un'unica, inscindibile totalità, il mio corpo, la mia casa, la mia anima.
Col finire dell'estate il lavoro non risultava ancora del tutto compiuto. Dovetti liberarmi dei progetti inattuabili e orientarmi su ciò che era realizzabile con le mie forze e i mezzi che avevo a disposizione in quel tempo. Ma questa non poteva essere un'operazione di mera rinuncia. Era necessario che le soluzioni adottate nel risistemare la cucina fossero ben altro che un semplice ripiego: dovevano generare piacere e soddisfazione. Dovevano nascere da un processo creativo spontaneo, l'unico in grado di produrre un esito autentico. (...) continua


Fonte:
https://www.facebook.com/notes/roberto-pinetti-psicologo-psicoterapeuta/la-forza-travolgente-dellesperienza-da-casa-corpo-anima/1029923020433733


martedì 7 giugno 2016

Fantasmi nel letto

La luce aspetta
a labbra stette la fine della notte.
Il ragno divide i suoi pensieri con i miei
arrampicandosi sul muro.
Giù in strada
il camion delle pulizie
elimina le impronte di una città
scalza.
La schiena urla la mia accidia
e il cartellone pubblicitario
mi danza addosso
tutta la sua illusione.
Mi alzo dal letto.
Non riesco a dormire
ogni volta
che i fantasmi
invadono il letto
con occhiali neri
facendomi sentire un misantropo
appartato
rinchiuso
dentro la nostalgia delle mie mancanze.
Accendo una sigaretta
e scrivo dopo aver letto
Majakovskij
e ascoltato
Nick Drake.
Il cuore è il motore


l'anima la forza motrice.



Vincenzo Costantino



venerdì 3 giugno 2016

Caro cumulo di fogli solcati da una HB...





Posso provare a descriverti il suo aspetto.
Egli è piuttosto alto, né magro né grasso, non possiede un corpo costruito, ha comunque un bel fisico.
È un uomo a cui non riesco a dare un'età, ma so, perché lo percepisco, che ha qualche anno più di me.
Indossa sempre una giacca in velluto a coste. Forse nera, forse blu marine… non saprei dire con certezza.
Il suo incedere è rasserenante, il passo deciso, ma non veloce.
Ha belle mani; dita affusolate un po' ossute e unghie curate senza eccessi.
Profuma di buono, la sua pelle emana un gradevole odore naturale e non usa sostanze artificiali; di questo sono sicura.
So di udire la sua voce lievemente roca, potrei riconoscerla.
Alcune volte fuma il sigaro, io non lo vedo ma sento l'aroma; mi piace, è inebriante.
Più d'una volta dalla tasca della sua giacca è fuoriuscito il bordo di un libro; non sono mai riuscita a leggerne i titoli, di uno ricordo il bordo rosso.
Appare sempre come se prima vi fosse altro, dell'altro.
Mi fido di lui, mi piace la sua dignità non sento eccessi di volgare orgoglio.
Qualche volta avverto il suo riso, mi sento bene con lui.
Lo percepisco protettivo, mi scalda dentro.
In sua compagnia son stata in molti luoghi; ricordo una passeggiata nei viali del Bois de Boulogne a Parigi, Roma e poi le camminate nelle vie di Torino o al quartiere ebraico di Venezia.
Mi sento soddisfatta, appagata.
Mi piace ascoltarlo, sento ciò che dice, non lo interrompo per timore di perdere il senso delle sue parole.
Non conosco il suo nome.
La notte scorsa ero con lui in una strada di una città che non sono riuscita a riconoscere, ci stavamo recando a cena mentre chiacchieravamo.
Il benessere che avvertivo era pieno e sgombro da un qualsivoglia presagio, provavo qualcosa simile alla felicità.
La fiducia nella sua persona era tangibile, come sempre del resto.
Il ristorante era situato in una piccola piazza poco illuminata, i lampioni, le case d'epoca conferivano alla stessa un fascino particolare e molto romantico.
Decidiamo di accomodarci fuori dal locale, scegliamo uno dei tavoli imbanditi e so di aver sentito l'odore del suo sigaro.
Subito dopo stiamo passeggiando su un molo, è notte ormai fonda.
Alle mie spalle le luci della città, di fronte una tavola di china nera; il mare.
Vedo una luna meravigliosa, mi pare quasi che palpiti.
Ecco, siamo al fondo del molo; guardo sotto... il buio.
Mi sorride, lo sento, mi carezza il volto, si posiziona dietro di me cingendomi la vita con le sue braccia.
Sento il calore del suo corpo, mi volto e cerco di guardarlo; non vedo il suo viso.
Mi sfuggono i suoi connotati, ciò che osservo è una sorta di scia nera, nera come la pece.
Mi volto verso l'acqua.
Lui mi spinge di sotto… sto affogando, sto morendo e non riesco a chiedere aiuto.
Il dolore che provo, a causa della fiducia tradita, è lancinante, insopportabile.
Io voglio svegliarmi, mi sveglio e le mie guance sono bagnate.
Quante e quante volte ti ho raccontato questi incubi... in fondo non ti ho mai descritto il suo aspetto così dettagliatamente e poi, comunque, non devo certo giustificarmi con te che sei il mio diario!
Chicco, in occasione di una conversazione telefonica, mi ha suggerito, e non è la prima volta, di dipingere ciò che di questa figura maschile ricordo.
Io non ci sono riuscita.
Il mio blocco schizzi è colmo di tentativi che somigliano neppure lontanamente a lui.
No, non pensare ch'io abbia timore di addormentarmi… il problema, semmai, è la grande quantità di croccantini al sesamo e miele che ingurgito per tacitare l'angoscia.
Altra conseguenza è il fiume di vocali e consonanti che scarico sulle tue pagine, ma questo è un mero tentativo di catarsi.


Catarsi, appunto...




   
                



Fotografia fonte:
Beni Culturali. it
"Leonardo da Vinci. Studi proporzioni del volto e dell'occhio, con note Biblioteca Reale, Torino"


mercoledì 20 aprile 2016

Confronti









Se ti senti un intelligente in mezzo a una pletora di 


idioti, prima di dire “IO SONO”, valuta la possibilità che il tuo 


interlocutore abbia parametri di confronto diversi dai tuoi…




potresti essere un idiota fra molti intelligenti e non saperlo.





                           

lunedì 11 aprile 2016

La tua morte è stata celebrata



Sono già stata al tuo funerale; camminavi davanti a me...

Ti devo gratitudine, la tua morte, solo apparentemente celata da una triste vita: la tua, mi ha donato la consapevolezza di protendere verso la luce del sole…


ti ringrazio, ho provato un sentimento: la pena.



Diego Rodríguez de Silva y Velázquez, Ritratto del nano Sebastian de Morra



                                          


Pablo PicassoIl nano, Mougins



Immagini da:
http://espresso.repubblica.it/visioni/lifestyle/2008/10/10/galleria/picasso-e-i-maestri-sfida-tra-geni-nbsp-1.98600#8

domenica 3 aprile 2016

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