Sono spesso tacciata d'esser cinica, quando va bene, o, quando va male,
d'esser una vera bastarda; sarà vero, non lo so e neppure
m'interessa saperlo.
Uso
sempre meno, e sempre più con notevoli restrizioni ai più o ai meno, i famigerati social: FB in testa.
I
miei contatti sono pochi, rispetto alla media dei possessori di
profili, e di quei pochi, di tanto in tanto, ne elimino qualcuno per
mancanza d'interazione.
Non
rientra nei miei interessi possedere un “supermercato di carne
informe e virtuale”.
Se
un social non socializza mi pare perda anche quel misero scopo.
Il
lezzo di solitudine che emettono questi non luoghi spesso
m'intristisce ed è, anche, per codesto motivo che il mio accesso
diviene talvolta sporadico.
Attribuisco,
tuttavia, agli stessi alcuni meriti.
Ho
ritrovato persone delle quali avevo perso le tracce, ho riallacciato
un rapporto personale molto importante, ho conosciuto persone che
oggi mi sono care e altre che care non lo sono più.
Ho
aderito a svariate pagine musicali o d'informazione, posso sapere, e
quindi visitare, mostre e spazi di mio interesse.
Mi
è stato possibile avere contatti con curatori, critici, galleristi e
associazioni; ho ricevuto messaggi personali il cui pensiero ancora
mi commuove e molto altro.
Viviamo
un tempo strano, un tempo di transizione che ci fa paura perché non
sappiamo dove ci condurrà. Mi pare estremamente adeguato definirlo,
così come fa qualche giornalista, un tempo liquido il cui
contenitore è invisibile.
Talvolta
percepisco questa nostra società come una sorta di grande piazza
gremita da individui chiassosi, persone intente a raccontare, ognuno,
la propria fiaba.
In
questo nostro strano modo di fingere una “dignitosa”
sopravvivenza, e un ancor più falso “va tutto benissimo
(pronunciato con almeno 4 esse), non sappiamo più vergognarci.
La
vergogna è sentimento che non ci appartiene più… e si vede.
Quel
vermiglio che invade con calore le gote, quell'impulso che ci
vorrebbe sotto delle pezze nascosti al mondo intero, ecco; quella
sensazione di disagio che, dopo essersi impossessata delle guance,
pervade tutto il corpo e che si avvinghia come un polipo allo
stomaco; quel sentire noi lo abbiamo perduto.
L'assenza
pressoché totale del suddetto sentimento si ravvisa in ogni comparto
della nostra malata società.
Una
classe politica che a definirla disgustosa è farle un gran
complimento, che comunque, ci piaccia o meno, è il nostro specchio;
il nostro doppio… siamo noi.
Genitori
impazziti che, riconoscendo genialità nei propri pargoli, genialità
che vedono solo loro perché, evidentemente, si drogano pesantemente,
rompono i cabbasisi al globo intero con la loro incessante invasione:
vedere scuola, per fare un solo esempio su mille.
Vergogna
senza la quale manca la capacità analitica, l'onestà intellettuale
e la giusta dose di umiltà che ci permetterebbe di scusarci con il
prossimo.
Siamo
dei codardi disonesti che, anche grazie alla virtualità, riusciamo a
imbellettarci celando, così, una misera esistenza.
Vite
fatte di solitudine e pochezza intellettiva, per non parlare della
pressoché assente intelligenza emotiva. Non ho le carte in regola
per scrivere quanto dobbiamo addebitare all'uso, spesso compulsivo,
dei social, questo è un compito che spetta a sociologi e psicologi,
ma è certo che lo stare nascosti dietro a un “paravento” non fa
di noi degli impavidi.
Quasi
come se fossimo formiche ubriache capitate nella centrifuga di una
lavatrice, viviamo così questo tempo veloce e incomprensibile.
“Non
ho capito dove sei in vacanza perché sul tuo profilo FB hai scritto
niente e poi perché non rispondi ai miei commenti?”
Questa,
per sommi capi, la frase che un mio amico ha proferito in una
telefonata.
Voglio
precisare che prima di pubblicare queste righe ho fatto a lui il
discorso sulla vergogna, preciso, inoltre, che mi è stato concesso
il permesso di citare la sua frase.
Ma
quel che mi preme chiarire è che la persona in questione è uomo
innanzitutto molto intelligente, colto, con una posizione sociale
invidiabile e, fattore non trascurabile, assai affascinante.
Fatte
le debite precisazioni e avendo indotto alla “vergogna” il mio
interlocutore per le oscenità da lui proferite, ho chiarito alcune,
per me urticanti, motivazioni sul mio distacco progressivo dai non
luoghi… dopo la più importante: la mortificazione di tutti i miei
sensi.
Il
disamore, se di amore precedente si può parlare, è avvenuto
osservando quanto privato viene sbattuto allegramente in piazza.
Messaggi
che, per rispetto verso l'altro, dovrebbero essere recapitati
direttamente al destinatario dal mittente in persona vengono, invece,
elargiti al “pubblico” il quale, ignaro del vero senso di quella
pochezza e incapace di “tacere”, risponde come se fosse un coro
di sorci squittenti, topi che si nutrono d'immondizia senza valore.
Ho
passato un po' di tempo a curiosare alcuni profili, non solo quelli
dei miei contatti, prima di provare un senso di pura e profonda
tristezza.
Ho
spiato, soprattutto, i commenti a frasi e altro.
Spesso
accozzaglie di insensate frasi farcite di superlativi
“assolutissssimi” e lodi sdolcinate con evidenti tentativi di
emergere da quell'anonimato che, in questo oggi, risulta tanto
fastidioso.
Nel
mio attacco di voyeurismo statistico ho riscontrato, inoltre, un uso
smodato di quelle faccine (emoticon).
Bamboccetti
che spruzzano cuori e aMMore a volontà.
Le
animazioni inondando le righe, piccoli spazi messi a disposizione dal
domatore occulto, con quella felicità in plastica tanto in voga e
che, calorosamente, ci ordinano di mostrare.
Il
destinatario non ne esce meglio, anzi, per molti versi assume le
sembianze di un penoso vanesio che pare ricercare, nei plausi della
platea di spilli impazziti, la soluzione definitiva al suo, palese,
complesso di inferiorità.
Se
poi il “ricercatore o ricevitore” di tali attenzioni assume, come
uso o tattica, il silenzio, ossia non degna la platea neppure di un
misero, ma tanto agognato, “mi piace”, ecco che allora riesce
nell'intento di indurre tacitamente il poveretto/a a credere nella
sua preminenza.
In
questo mare di strazianti tentativi di emersione vi sono, è onesto
scriverlo, profili molto ben gestiti.
Pagine
personali delicate infarcite di buona musica, notizie importanti e
intelligenti disquisizioni.
Solitamente
sono profili adoperati con scopo divulgativo, ma anche con quella
giusta e garbata dose di frivolezza.
Sono
tuttavia il numero minore.
Se
riuscissimo ancora a vergognarci sparirebbe la stragrande
maggioranza di questa classe politica.
Riusciremmo
a fruire di buone letture giornalistiche, evitandoci fastidiose
gimcane fra articoli di prezzolati scribacchini.
Vi
sarebbe una moria di punti esclamativi e un pensiero rivolto ai
defunti superlativi assoluti.
Se
ci riappropriassimo del sentimento succitato tornerebbero,
timidamente e discretamente, congiuntivo e condizionale, sparirebbe
Io, Io, Io e gli scarrafoni sarebbero belli a mamma loro e, per
libera scelta, a pochi altri.
Insomma:
il rossore del volto ci farebbe apparire più simili a degli umani
lasciando ai sorci il loro squittire.
Ma
che muoia questa società fatta anche da me!
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