lunedì 1 dicembre 2014

Caro cumulo di fogli solcati da una HB...


Com'è difficile immaginare d’esser qualcun altro, mio caro cumulo di fogli.
Ho parcheggiato, in malo modo, l’auto davanti alla stazione del Lingotto.
Attendevo l’arrivo di una persona e la presa di possesso, sebbene relativamente momentanea, di un pezzetto di posteggio delle auto gialle, non mi permetteva di allontanarmi dalla mia vettura.
Pioveva a dirotto, decido, quindi, di seguitare nella lettura del mio libro.
Ero in procinto di ri-visualizzare i personaggi del racconto in questione e di udire nuovamente le loro voci, quando un movimento, a lato del mio occhio sinistro, catturava la mia attenzione.
Le gocce di pioggia, dapprima tondeggianti, assumevano, successivamente e a causa del loro scivolare giù per il vetro, forme amorfe un po’ allungate, deformando in parte la figura che si muoveva come un’ombra sul marciapiede attiguo.
Marciapiede dove sono situati i cassonetti della raccolta differenziata.
Ecco; lui appariva e scompariva lì.
Sì, mio caro cumulo di fogli, sembrava una timida ombra con ombrello.
Poteva essere mio figlio?
È stata la prima domanda che mi sono posta; sì, la risposta.
Più che decorosamente acconciato, con i jeans inzuppati d’acqua sino alle ginocchia, raccoglieva pezzetti di carta da terra e li deponeva nel cassonetto preposto alla sua raccolta.
Dapprima m’è parso un gesto normale, giusto, ma se così fosse stato la mia attenzione non sarebbe stata rapita, quindi c’era altro.
Infatti, dietro a quel gesto, c’era molto di più; c’era il vuoto.
Il ragazzo Ombra gestiva una sorta d’inventario del piccolo rifiuto di strada.
Lui cercava di pareggiare il quantitativo del “lascito pedonale” che vi era all'interno dei vari cassonetti, oltre e dopo aver colto tutto il raccoglibile da terra.
In seguito appallottolava carta, fradicia d’acqua, e la disponeva in fila sul tratto di strada adibita al passaggio dei mezzi pubblici, formando così una specie di esercito di palle di carta molle.
Esercito di soldatini immobili ai quali lui non impartiva alcun ordine.
Egli li osservava in silenzio e dopo pochi minuti disfaceva la sua trincea, quindi ricominciava, meticolosamente e a partire dalla raccolta del più piccolo rifiuto, tutto il giro tutto daccapo.

Il lavorio del ragazzo Ombra, mio caro cumulo di fogli, mi ha fatto tanto pensare.
Ho cercato di essere lui, ho provato a visitare il suo “vuoto”.
Mi sono infiltrata quanto più ho potuto.
I gesti compiuti con quella mano, mentre l’altra reggeva l’ombrello, erano ritmati, precisi, come fosse un compito che era sua abitudine eseguire.
L’ho immaginato come una sorta di bibliotecario del rifiuto, lui che quasi codificava ogni singolo pezzetto di “qualche cosa”.
Ma quella mente come passava, filtrava e infine come codificava il non codificabile? Quale forma dava all'astrazione pura?
Sai, tu sai bene, cosa penso della bellezza della mente umana, cumulo di fogli, e sai quanto il suo funzionamento eserciti su me un fascino estremo, così come l’esatto suo contrario.
Be’, quindi puoi immaginare quali e quanti pensieri, fantasie io abbia avuto osservando, sottecchi, Ombra.
Quanti immaginari scaffali stava riempiendo e di cosa?  
Quel dialogo muto, il rapporto con la “cosa” inerte, scartata era l’unico ponte che lo univa, impercettibilmente, a un altro invisibile individuo che, in chissà quale momento precedente, aveva usato le mani per gettare il rifiuto.
Lui raccoglieva, accudiva, sistemava, catalogava il “rifiuto”; negando, forse e così, a se stesso una realtà dolorosa.
Quell'esistenza quante porte ha chiuso?
Una domanda che ha suscitato in me dolore e malinconia.
 Ho immaginato la bellezza di un primo bacio, di una carezza; ho fantasticato sulla potenza che solo le palpitazioni di un appuntamento galante ti danno.
Forse… chissà, il suo esercito di soldatini di carta fradicia lo aiutava a “rifiutare” il dolore e insieme a lui tutto il vivibile.

Il vivibile…

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