lunedì 13 aprile 2015
Tu; il mio specchio, il mio doppio… una moltitudine di “io”
“Dico sempre quel che penso”.
Quante volte sentiamo questa frase e quante volte l’ho proferita io!
Ho trascorso buona parte della mia esistenza con la convinzione che esternare a chicchessia ciò che pensavo fosse buona cosa.
Lo sono stata per molto tempo, esteriorizzando, perciò e con estrema facilità, tutto quel che mi passava per la mente.
Oggi, ormai da un bel po’, questa convinzione non è più mia, invero, mi appartiene il suo opposto.
Inizialmente ho cambiato il mio pensiero e il mio comportamento per la necessità di proteggermi.
Appalesare sempre e comunque ogni mia opinione mi denudava, mostrando soprattutto le innumerevoli fragilità che mi appartenevano.
Debolezze le quali divenivano spesso armi che, previo mio consenso per scarsa consapevolezza, mi ritrovavo puntate addosso dal "plot-One" di turno.
Poi c'ero nuovamente io, io che sono anche l'altro e che lo sono sempre stata.
L'altro; vestito di cicatrici invisibili, altra esistenza, altri pensieri, diverse pulsioni e reazioni.
Quali e quanti diversi modi di affrontare o fruire il macigno, il sassolino, il granello di sabbia dai miei?
Mi domandavo chi fossi per vomitare addosso all'altro tutto ciò che passava per la mia mente.
Abortivo pensieri senza curarmi di quel che avrebbero potuto cagionare.
Si trattava, molto probabilmente, dell'erronea attribuzione del sinonimo falso a silenzio.
Tacere è rispetto, oggi per me.
Tenere nell'anticamera della bocca ciò che penso è anche assunzione di responsabilità nei confronti dell'altrui esistenza.
Opinioni personali, spesso poco ponderate, liberano solo noi stessi da ciò che nell'altro riconosciamo e che non accettiamo, ma che nel contempo non facciamo nulla per cambiare.
Tuttavia, se così non fosse, mi domando perché io debba offrire, sebbene in forma di giudizio, una sorta di soluzione.
La capacità o incapacità d'introspezione è intima ed estremamente individuale, non necessariamente uguale, ma neppure simile, alla capacità o incapacità d'introspezione di un altro individuo.
Di fatto il confine tra falsità e silenzio non è poi così labile, anzi… e non significa neppure votarsi a una sorta di “martirio” tacendo sempre.
Mandare a quel paese qualcuno, talvolta io lo faccio senza se e senza ma, risulta essere un atto estremamente liberatorio, del quale personalmente raramente mi pento.
Adotta anche tu l'attimo di silenzio e paga il tuo conto, non farlo pagare ad altri, smaltisci i tuoi rifiuti dopo esserti domandato: “Quante persone nella vita mi hanno chiesto cosa pensassi di loro?”.
A me… neppure una.
Foto:
L’enigma umano di Giorgio Kienerk.
(Ti ho dedicato tanto; ti ho dedicato uno sguardo)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento